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Come funzionava la truffa dei farmaci anti tumorali con cui faceva soldi la ‘ndrangheta

Un’organizzazione, legata al clan di San Luca, è stata sgominata a Milano. Aveva creato una rete di riciclaggio dei farmaci. Ma non è la prima volta che succede

AGI Salute – di09 aprile 2018

Farmaci costosissimi destinati agli ospedali perlopiù per cure oncologiche: su questo avevano puntato il loro illecito giro d’affari da quasi 20 milioni di euro tredici persone, finite in manette lunedì a Milano. L’accusa è quella di associazione per delinquere finalizzata alla truffa ai danni dell’Erario, truffa ad aziende farmaceutiche, autoriciclaggio, ricettazione di farmaci, somministrazione di medicinali in modo pericoloso per la salute pubblica ed emissione di fatture per operazioni inesistenti.

A capo dell’organizzazione, legata alla ‘ndrangheta di San Luca e in particolare alla famiglia Calabrò, c’era Giampaolo Giammassimo il titolare di origine calabrese della Farmacia Caiazzo nel centro di
Milano. Tra gli arrestati c’è anche un carabiniere che fino al 2013 ha lavorato al Nas: il militare era entrato in contatto con gli organizzatori della truffa e svolgeva un ruolo di consulente per sfruttare le pieghe della legislazione.

La tecnica della banda

Gli accusati – si legge su Repubblica – acquistavano illegalmente oppioidi ma anche farmaci oncologici e altri psichiatrici, destinati alla sanità pubblica, a un prezzo scontato ex factory (cioè il costo di vendita del farmaco stabilito dall’Aifa prima dell’immissione in commercio del medicinale). L’associazione fingeva che fossero destinati a ospedali pubblici o privati, salvo poi rivenderli a prezzi favorevoli sul mercato nero italiano ed estero.

La banda aveva, infatti, messo in piedi una rete di riciclaggio dei farmaci, la cui documentazione veniva in tutto o in parte falsificata per poi rivenderli nel mercato parallelo estero, in particolare in Nord Africa e nel Sud-est Asiatico. Il più famoso dei marchi utilizzati era il “Contramal”, un oppioide noto come “droga del combattente”, perché era già l’oggetto di altre inchieste, in quanto usato dai militanti dell’Isis.

I rischi per la salute

I farmaci così “riciclati” – riporta il Corriere – venivano venduti all’estero a prezzi molto maggiori di quelli d’acquisto, tra l’altro esponendo a gravi pericoli per la salute gli utilizzatori, poiché la vendita avveniva tramite una “filiera” non autorizzata e non controllabile ed utilizzando intermediari stranieri che in molti casi era addirittura estranei al settore sanitario. Per esempio, grosse forniture sono state destinate a cittadini stranieri che facevano tutt’altro lavoro (ristoratori, impiegati di banca), e quindi si dedicavano allo smercio di farmaci soltanto per lucro.

Farmaci tumorali al centro dei traffici

Non è la prima volta che i farmaci anti-cancro finiscono nelle maglie di organizzazioni mafiose e traffici illeciti. Meno di due anni fa, 17 persone originarie della Campania e appartenenti alla stessa organizzazione criminale erano finite in manette in diverse regioni d’Italia con l’accusa di furto e rivendita all’estero di medicinali oncologici. A ciò si aggiungeva il fatto che questi farmaci venivano tenuti in cattivo stato di conservazione rendendoli inefficaci. “Un reato odioso” aveva commentato il procuratore capo Giuseppe Amato “non solo per i notevoli costi per le casse pubbliche, ma anche perché si tratta di farmaci anti-tumorali destinati ai più deboli”.

Tempo prima, invece, erano stati i magazzinieri della farmacia del Policlinico Umberto I a fare scorte di costosi farmaci anti-cancro, ma anche di Viagra e a rivenderli sul mercato nero. Le manette erano scattate alla conclusione di un’inchiesta avviata dopo che i medici della farmacia avevano notato le sparizioni sospette, soprattutto di quei medicinali particolarmente costosi, come alcuni antitumorali, o le pillole blu dell’amore, entrambi facilmente piazzabili sul mercato nero, forse anche estero. E non si trattava di una cifra da poco. L’indagine, infatti, ha fatto emergere un buco da un milione di euro in meno di due anni.

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Redazione Fedaisf

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