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Comportamenti persecutori del datore di lavoro e malattia del lavoratore

 Un lavoratore dipendente, asserendo di essere caduto in depressione per effetto di taluni comportamenti tenuti dal datore di lavoro e di essersi ammalato manifestando i sintomi delle malattie che sarebbero successivamente divenute permanenti, quali crisi ipertensive di natura emozionale, stato d’ansia con elementi depressivi reattivi, eritrodermia psoriasica, sintomi di angina pectoris, agiva giudizialmente per ottenere il ristoro dei danni. La situazione posta alla base dell’azione intentata era perdurata sino a quando, per il cambio di vertici, il dipendete era stato destinato ad un incarico confacente alla professionalità acquisita. Tuttavia, il lungo periodo di stress e la tensione psico-fisica avevano comportato, secondo la tesi del lavoratore, l’insorgere di una cardiopatia ischemica culminata con un’operazione di by pass associata a psoriasi e problemi psichici. La domanda risarcitoria era stata rigettata. Da qui il ricorso alla Suprema Corte. Ai fini dell’accertamento della responsabilità del datore di lavoro, tenuto alla tutela dell’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro – che però non configura un’ipotesi di responsabilità oggettiva – al lavoratore che lamenti di aver subito, a causa dell’attività lavorativa svolta, un danno alla salute, incombe l’onere di provare l’esistenza di tale danno, la nocività dell’ambiente di lavoro ed il nesso causale fra questi due elementi, gravando invece sul datore di lavoro, una volta che il lavoratore abbia provato le suddette circostanze, l’onere di dimostrare di avere adottato tutte le cautele necessarie ad impedire il verificarsi del danno.

[Avv. Ennio Grassini – www.dirittosanitario.net]

26 Giugno 2014Doctor33

 

 

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