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Corte Ue: spostamenti di lavoro valgono come orario ufficio

Per chi è dipendente e non ha una sede di lavoro. “Il tempo di spostamento che tali lavoratori impiegano per gli spostamenti quotidiani tra il loro domicilio ed i luoghi in cui si trovano il primo e l’ultimo cliente indicati dal loro datore di lavoro costituisce orario di lavoro”

(ANSA) – BRUXELLES, 10 SET – Per i lavoratori senza luogo di lavoro fisso, il tempo di trasferimento dal domicilio al primo cliente della giornata e viceversa costituisce orario di lavoro.

Lo stabilisce la Corte di Giustizia dell’Unione europea con una sentenza pubblicata oggi e basata sul ricorso di una società spagnola (Tyco, impianti antifurto e antincendio) che nel 2011 ha chiuso tutti gli uffici regionali, sostituendoli con una rete di operatori dislocati sul territorio dotati di auto e cellulare di servizio.

La Corte, applicando la direttiva 88/2003 sull’organizzazione dell’orario di lavoro, ha dichiarato che “nel caso in cui dei lavoratori non abbiano un luogo di lavoro fisso o abituale, il tempo di spostamento che tali lavoratori impiegano per gli spostamenti quotidiani tra il loro domicilio ed i luoghi in cui si trovano il primo e l’ultimo cliente indicati dal loro datore di lavoro costituisce orario di lavoro”.

Nel caso specifico, la Tyco prevede che i suoi tecnici si rechino nelle sedi dei clienti comunicando la lista degli interventi della giornata e che possono essere distanti anche più di cento chilometri dal loro domicilio, ma considera “tempo di riposo” la percorrenza da casa al primo cliente ed il ritorno a fine giornata. La Corte invece “ritiene che i lavoratori siano a disposizione del datore di lavoro durante i tempi di spostamento” perché “i lavoratori non hanno pertanto la possibilità di disporne liberamente e di dedicarsi ai loro interessi”.

“La circostanza che i lavoratori comincino e terminino i tragitti presso il loro domicilio è una conseguenza diretta della decisione del loro datore di lavoro di eliminare gli uffici regionali e non della volontà dei lavoratori stessi” osserva la Corte, specificando che “costringerli a farsi carico della scelta del loro datore di lavoro sarebbe contrario all’obiettivo di tutela della sicurezza e della salute dei lavoratori perseguito dalla direttiva, nel quale rientra la necessità di garantire ai lavoratori un periodo minimo di riposo”. (ANSA).

N.d.R: SENTENZA DELLA CORTE (Terza Sezione) – 10 settembre 2015

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Redazione Fedaisf

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