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Crisi occupazionale degli ISF

La crisi occupazionale che ha colpito il settore degli Informatori Scientifici è senza precedenti. Neanche nel ’94, quando ci fu la riclassificazione dei farmaci, si persero così tanti posti di lavoro! 12.000, si stima, negli ultimi 2 anni. Ma perché si è arrivati a questo? Nel periodo 97/05 l’obiettivo principale di molte aziende farmaceutiche, per incrementare le vendite, è stato un aumento dRisultati immagini per crisi occupazionaleella frequenza delle visite d’informazione, in special modo per alcune categorie/prodotti ad alto potenziale di crescita e di profitto. Una così elevata frequenza visite ha portato il medico a non riconoscere il valore della attività dell’ISF e si è reso meno disponibile a concedergli il proprio tempo. La visita tradizionale è diventata sempre meno leva di differenziazione e conseguentemente la produttività delle visite è in forte calo: i medici ricordano soltanto il 4% di tutte le visite effettuate dagli ISF (dato comunicato ad un convegno About Pharma sull’informazione scientifica nel settembre 2006).

Contemporaneamente diventa sempre più forte da un lato il ruolo prescrittivo del medico specialista, e dall’altro anche il ruolo sempre più attivo che un numero sempre maggiore di farmacie intende giocare nell’influenzare le scelte dei pazienti. Ma sono soprattutto le istituzioni che governano il SSR che giocano un ruolo sempre più forte nell’influenzare le dinamiche prescrittive. Si stanno quindi modificando i ruoli e i pesi dei diversi attori che concorrono alla determinazione della prescrizione, ma sempre di meno pesa il medico di medicina generale. Alcuni fattori hanno ridotto e ridurranno in futuro la possibilità di ottenere un’adeguata differenziazione dei propri prodotti basata su un elevato tasso di frequenza di visite alla classe medica: regolamenti regionali che limitano il numero delle visite degli ISF, diverse modalità di gestione delle visite informative, Nuovo Testo Unico (D.Lgs. 219/06).

Il mercato dei farmaci di competenza del medico di medicina generale è diventato poi sempre meno appetibile, sia a causa dell’incapacità delle autorità regolatorie di distinguere i farmaci veramente innovativi da remunerare in maniera diversa dagli altri, sia a causa degli interventi indiscriminati di contenimento della spesa farmaceutica da parte ministeriale e da parte regionale, sia a causa dell’introduzione progressiva di farmaci generici sulla cui gestione pesa il ruolo del farmacista e la scontistica che ad esso viene praticata. Pertanto, diventando sempre più forte il ruolo prescrittivo del medico specialista, i nuovi prodotti introdotti sul mercato sono sempre più orientati ad aree di gestione specialistica ed ospedaliera molto più remunerativi e che richiedono un numero molto ridotto di ISF e costi fissi molto più contenuti. In questo quadro gli ISF, non riqualificati dall’istituzione di un Albo o da un profilo adeguato nel D.Lgs. 219, e ridotti a puro strumento di profitto, serviranno sempre meno. Basteranno pochi ISF che frequenteranno centri specialistici, ed altri, con contratti atipici o flessibili, da utilizzare per fini prettamente commerciali.

Oggi molte aziende farmaceutiche si adeguano al quadro sopra descritto e “rifocalizzano” le loro strategie. L’operazione implica la dismissione o la forte riduzione degli ISF impiegati sul medico di medicina generale (le cosiddette linee “primary care”). Conseguenza di ciò è la perdita di lavoro per quei 12.000 informatori che dicevamo al’inizio. È vero che il numero di ISF era ipertrofico ed era prevedibile un ridimensionamento, ma ora si cade nell’eccesso opposto. Quello che si prospetta poi, al di là della perdita di lavoro di tante persone (il che è di per sé gravissimo), è uno scenario inquietante: il mercato dei farmaci per la medicina di base sarà sempre meno innovativo (la ricerca costa tantissimo e la remunerazione non è più appetibile) e sarà dominato da vecchi prodotti, ma soprattutto il medico di medicina generale avrà dovuto abdicare di fatto al proprio ruolo, che invece dovrebbe essere centrale in un servizio sanitario. La crisi finanziaria ed economica che ha travolto il mondo globalizzato dal 2008 c’entra relativamente poco.

I dati vendita dei farmaci in Italia nel 2008, resi noti dall’OsMed (Osservatorio nazionale sull’impiego dei Medicinali) all’Istituto Superiore di Sanità, non mostrano decrementi, anzi dal 2000 al 2008 il consumo dei farmaci pro capite è aumentato del 60%. La globalizzazione, intesa come la finanziarizzazione dell’economia, la riforma del mercato del lavoro, l’attacco ai sindacati, la liberalizzazione dei movimenti di capitali, entra invece nella filosofia che sta alla base di molte decisioni e scelte delle imprese farmaceutiche. Questa filosofia ha trasformato le imprese da istituzioni, per così dire, sociali in cui si intrecciavano gli interessi dei lavoratori, dei proprietari, delle comunità territoriali, dello Stato, dei fornitori, in puri flussi di cassa. Il criterio dominante è la massimizzazione del valore per l’azionista. La sola cosa che conta per l’azionista è il valore di mercato dell’impresa indicato dal corso dei titoli azionari. Gli interessi di lavoratori, fornitori, comunità locali, sono irrilevanti. Come irrilevanti sono i criteri che un tempo indicavano il successo di un impresa, come la dimensione raggiunta, il fatturato, il numero di dipendenti, la leadership tecnologica, la posizione di mercato.

È evidente che quello che viene speso per distribuire dividendi, interessi, “stock options”, non è disponibile per investimenti produttivi, meno che mai in ricerca e sviluppo dato che questi ultimi promettono rendimenti relativamente lontani ed incerti. Gli investitori non possono attendere tanto. L’Impresa deve produrre ininterrottamente profitti e plusvalenze. Da qui acquisizioni e fusioni per compensare il deficit di ricerca, da qui non assumere dipendenti con contratti stabili, da qui le pressioni affinché i lavoratori e sindacati diano prova di “moderazione salariale”, da qui la chiusura di unità produttive il cui rendimento, anche se elevato, risulti inferiore alla media delle società concorrenti, da qui il ricorso a cessioni di ramo d’azienda, alla mobilità, ai licenziamenti collettivi. Non a caso quando si annunciano operazioni di questo genere le azioni di quell’impresa che ha fatto l’annuncio salgono.

Non a caso i titoli del settore “Pharma” hanno guadagnato il 14% dall’inizio dell’anno. In questo scenario gli Informatori Scientifici del Farmaco sono quelli che pagano il prezzo più alto in termini occupazionali. Anche se è elevato il numero dei licenziamenti, delle mobilità, dei cassintegrati, delle cessioni di ramo d’azienda, passa quasi del tutto inosservato al grande pubblico. Se si parla di disoccupazione se ne parla in termini generali come conseguenza della crisi economica e mai della nostra situazione particolare. I sindacati mostrano tutta la loro debolezza andando a trattative per ottenere al massimo incentivi economici, ma difficilmente riescono a salvaguardare l’occupazione. Noi ISF siamo individualisti, rassegnati e non riusciamo ad incidere sui Sindacati, su Farmindustria o sulle autorità statali o sanitarie. È ora di reagire. Questo stato di cose non è più tollerabile.

Occorrerà quindi far sì che le autorità prendano atto di questo stato di cose e intervengano per dichiarare una crisi di settore e favoriscano le condizioni affinché si creino delle alternative lavorative legate alla professionalità. Occorrerà salvaguardare l’occupazione e occorrerà inoltre ridisegnare il Decreto Legislativo 219, che ci penalizza proprio sul piano lavorativo. Occorrerà ridisegnare le regole che garantiscano il più possibile la professionalità improntata all’eticità e alla trasparenza degli ISF per far sì che gli stessi ISFriassumano quel ruolo di Informatori Scientifici sui Farmaci che è utile sia al medico che al paziente.

Angelo Dazzi – Presidente Nazionale AIISF – novembre 2009

l’informatore 3 (Vedi pag. 10)

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Redazione Fedaisf

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