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IL RIENTRO DALLA MATERNITA’

 

Ai sensi dell’art.56 26.03.01 n.151, le lavoratrici hanno diritto di conservare il posto di lavoro e, salvo che espressamente vi rinuncino, di rientrare nella stessa unità produttiva ove erano occupate all’inizio del periodo di gravidanza o in altra ubicata nel medesimo comune, e di permanervi fino al compimento di un anno di età del bambino; hanno altresì diritto di essere adibite alle mansioni da ultimo svolte o a mansioni equivalenti, nonché di beneficiare di eventuali miglioramenti delle condizioni di lavoro, previsti dai contratti collettivi ovvero in via legislativa o regolamentare, che sarebbero loro spettati durante l’assenza.

La disposizione, quindi, si traduce in un espresso divieto del datore di lavoro di operare la modificazione del rapporto di lavoro sotto un duplice profilo, il luogo della esecuzione del rapporto di lavoro e quello delle mansioni espletate.

L’inosservanza di tali disposizioni è, addirittura, punita con una sanzione amministrativa, che pertanto rende la norma di tutela imperativa e come tale inderogabile.

La Corte di Giustizia Europea ha recentemente chiarito che l’adozione di misure preparatorie di una decisione di licenziamento di una lavoratrice in ragione della gravidanza/o della nascita di un figlio nel periodo che va dall’inizio della gravidanza al termine del congedo di maternità è contraria alla direttiva n. 92/85/Cee, concernente l’attuazione di misure per il miglioramento della sicurezza e della salute sul lavoro delle lavoratrici gestanti, puerpere o in periodo di allattamento. Tale decisione è altresì definita in contrasto con la direttiva n. 76/207/Cee, relativa all’attuazione del principio della parità di trattamento fra gli uomini e le donne circa l’accesso al lavoro,  alla formazione e alla promozione professionale e alle condizioni di lavoro.

Secondo pronuncia di merito, il trasferimento della lavoratrice al rientro dal congedo di maternità è illegittimo anche se la gravidanza si è conclusa con la nascita di un bambino morto (Tribunale  Milano  06 luglio 2002).

La violazione di tale norma implica una nullità assoluta del provvedimento di modifica impartito dal datore di lavoro, con la conseguente inidoneità a produrre qualunque effetto.

Da ciò consegue, chiaramente, il diritto della lavoratrice madre a mantenere lo stesso luogo di lavoro e le medesime mansioni.

Ne consegue che nel caso dell’ISF,  l’allargamento a

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