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Troppo costoso lo sviluppo dei farmaci. L’outsourcing per risolvere il problema

È al tramonto l’era in cui i laboratori inhouse di Big Pharma potevano permettersi anni di sperimentazioni per sfornare eventualmente il farmaco da incasso miliardario. In un mercato caratterizzato dall’ascesa dei farmaci generici e dalla scadenza dei brevetti, le aziende tagliano sui costi e la parola d’ordine diventa esternalizzare la ricerca bussando a università e altri centri, intensificando nel frattempo il ricorso al venture capital. Le ultime a sposare i nuovi indirizzi sono il colosso britannico GlaxoSmithKline e quello americano Eli Lilly. Le condizioni del mercato hanno imposto scelte drastiche: in particolare tagliare i tempi non remunerativi (in media un decennio) fra l’ideazione di un farmaco al test sull’uomo. Gsk sta stipulando 10 supercontratti con centri accademici: di accordi di lungo periodo che coprono tutta la durata dello sviluppo del prodotto potenziale. Scienza in cambio di denaro, ma meno di quello che si spenderebbe per la ricerca inhouse: e ai laboratori che firmano i contratti, anch’essi alle prese con i tagli dei finanziamenti, i denari delle multinazionali fanno davvero comodo. I guadagni sono proporzionati alla futura resa di mercato dei farmaci.

Un contratto di questo genere la Gsk l’ha siglato con Mark Pepis, professore all’University College di Londra. La società di Pepis Pentraxin Therapeutics vende con pagamento anticipato le idee che poi svilupperà a stretto contatto con i supervisori della multinazionale (l’ambito terapeutico è l’amiloidosi). Dice Pepis: «Noi scopriamo la molecola e loro la elaborano col loro knowhow industriale». Eli Lilly invece sta cercando 750 milioni di dollari da destinare alla ricerca: ha approntato 3 fondi (in ciascuno di essi metterà 50 milioni di partenza) da piazzare sul mercato dei venture capital per una ventina di farmaci da sviluppare. Ha spiegato John Lechleiter, ceo di Eli Lilly: «Non siamo più limitati dalle risorse interne e possiamo espandere gli ambiti di lavoro». Anche in Italia qualcosa si muove con l’accordo tra Cnr e la Procter & Gamble. Grazie a un’apposita società interna, Rete Ventures, il Cnr sta cercando di trasferire all’industria il knowhow scientifico: oltre agli spinoff i sistemi più usati sono la cessione dei brevetti o la stipula di contratti per la ricerca congiunta.

La Repubblica – Supplemento Affari & Finanza – Andrea Rustichelli 

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