Pharmaceuticals: the State is the Italian handicap

 

 

Le aziende farmaceutiche del Bel Paese sono in fondo alla classifica europea stilata in base alla redditività. E se non esportassero quote crescenti dei loro prodotti i loro risultati sarebbero ancora peggiori: nel 2009 il 54% dei ricavi proveniva dall’export; quest’anno la media salirà fra il 56% e il 57%. Sul banco degli accusati è la mancanza di competitività del "Sistema Italia". E cioè quella forbice micidiale fra tempi di pagamento più lunghi da parte del settore pubblico e prezzi più bassi sul mercato interno rispetto alla concorrenza internazionale che sta mettendo in ginocchio l’intero settore. Sono questi, in estrema sintesi, i risultati di uno studio condotto da Prometeia per conto di Farmindustria su circa 900 bilanci della Ue a 15 nel periodo compreso fra il 2002 e il 2008. Un panorama allarmante, dunque.
Ad essere colpiti da questa situazione sono tutte le imprese farmaceutiche con sedi in Italia, dai big a proprietà nazionale come Menarini, Chiesi, Sigma Tau e Recordati, alle imprese minori senza escludere le sedi locali delle grandi multinazionali. Non è un caso, infatti, se già un paio di anni fa un gruppo rilevante come l’americana Pfizer abbia abbandonato il centro ricerche di Nerviano, vicino Milano, così come Merck è fuggita da Pomezia (Roma) e Glaxo ha rinunciato ai suoi laboratori nel Veneto.
Per rendersi conto di cosa è accaduto basta confrontare la situazione europea con quella italiana. Certo, nel 2008 l’Europa a 15 aveva un ROI (Return on investment, cioè l’indice di redditività del capitale investito) del 7,2%, pari a 8 decimi di punto in meno rispetto ai primi anni 2000. Da noi, però, la situazione risultava ben più pesante. Il ROI delle aziende farmaceutiche italiane, infatti, è calato dal 7,1% del 2002 al 5,9% del 2008 con una diminuzione del 17% contro il 10% della Ue a 15. Ma non basta. «Le differenze negative per l’Italia», recita la ricerca di Prometeia, «sono peraltro amplificate in termini di redditività complessiva ROE (Return On common Equity, l’indice che misura la redditività del capitale proprio) per effetto della maggiore pressione fiscale nel nostro Paese». In Italia, infatti, l’incidenza medie delle imposte sull’utile lordo nel corso del periodo 2002/2008 è stata del 48,2% contro il 33,3% del campione riferito alla UE a 15.
Secondo il presidente di Farmindustria, Sergio Dompè non ci sono dubbi: lo studio di Prometeia conferma le difficoltà in cui si dibatte l’industria italiana del settore per responsabilità che non sono sue. Dice: «Questo è il risultato di una decennale politica di indifferenza bipartizan nei nostri confronti; oggi ne paghiamo tutti le conseguenze: non solo noi ma l’intero sistema italiano delle eccellenze in campo sanitario».
Lui, Dompè sottolinea la perdita di competitività e poi ne spiega le cause: «Da una parte, oltre a subire ritardi nei pagamenti di 250/300 giorni da parte del settore pubblico vendiamo i nostri prodotti a prezzi sensibilmente più bassi della media europea. Ogni 10 euro di farmaci ven

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