Science. The memory overload that throws the brain out of sync. The limits of school, university and business courses

Gli esseri umani possono conservare solo quattro o cinque elementi alla volta nella memoria di lavoro: se questa si sovraccarica,  i segnali di feedback inviati da alcune aree del cervello si interrompono e il network cerebrale perde di sincronia. Il fenomeno potrebbe essere legato a una “codifica predittiva” delle informazioni sensoriali: il cervello ha sempre delle aspettative in tempo reale su ciò che sta vivendo e sperimentando

by Jordana Capelewicz/Quanta Magazine

Nel 1956, il noto psicologo cognitivo George Miller pubblicò uno degli articoli più citati del campo: “Il magico numero sette, più o meno due”. In quel lavoro, sosteneva che anche se il cervello può immagazzinare un’intera vita di conoscenza nei suoi mille miliardi di connessioni, il numero di elementi che gli esseri umani possono mantenere attivamente e contemporaneamente nella consapevolezza cosciente è limitato, in media, a sette.

The elements could be a series of digits, a handful of objects scattered around a room, a list of overlapping words or sounds. Whatever they are, Miller wrote, only seven of them can fit into what's called working memory, where they're available for our focused attention and other cognitive processes. Their stay in working memory is short and limited: when they are no longer actively thought about, they are either stored elsewhere or forgotten.

Dai tempi di Miller, neuroscienziati e psicologi hanno continuato a studiare la memoria di lavoro e i suoi limiti sorprendentemente rigidi, scoprendo che potrebbero essere più vicini a quattro o cinque voci che a sette. E hanno studiato in che modo le persone aggirano il limite: possiamo ricordare tutte le cifre di un numero di telefono “facendo a pezzi” i numeri (ricordando 1, poi 4, invece del singolo elemento 14, per esempio), o sviluppando trucchi mnemonici per estrarre cifre casuali di pi-greco dalla memoria a lungo termine.

Ma la ragione per cui la memoria di lavoro inizia a venir meno in corrispondenza di una soglia così bassa non è ancora chiara. I ricercatori possono vedere che qualsiasi tentativo di superare quel limite fa degradare le informazioni: le rappresentazioni neuronali diventano “più fragili”, i ritmi del cervello cambiano e i ricordi si perdono. Questo avviene con un numero ancora minore di elementi nelle persone a cui sono stati diagnosticati disturbi neurologici, come la schizofrenia.

Il meccanismo all’origine del degrado, tuttavia, è rimasto sconosciuto fino a poco tempo fa. In un articolo pubblicato su “Cerebral Cortex” a marzo, three scientists have found that a significant weakening of feedback signals between different parts of the brain is responsible for the problem. The study sheds light on memory function and dysfunction, while also offering further evidence for a promising theory of how the brain processes information.

A synchronized hum
Earl Miller, a neuroscientist at MIT's Picower Institute for Learning and Memory, Dimitris Pinotsis, a researcher in his lab, and Timothy Buschman, an assistant professor at Princeton University, wanted to know what sets such a low limit on working memory capacity.

Diagram of working memory boundaries according to feedback and feedforward flows (Credit: Lucy Reading-Ikkanda/Quanta magazine)

Sapevano già che nella memoria di lavoro è attiva una rete che coinvolge tre regioni cerebrali: la corteccia prefrontale, i campi oculari frontali e l’area intraparietale laterale. Ma non avevano ancora osservato cambiamenti dell’attività neurale che corrispondessero alla rapida transizione tra ricordare e non ricordare che accompagna il superamento del limite della memoria di lavoro.

So they revived a working memory test that Miller's lab had conducted a few years earlier, in which the researchers showed monkeys a series of screens: first a series of colored squares, followed briefly by a blank screen, and then again. from the home screen, but this time with the color of a square changed.

The animals had to detect the difference between the screens. Sometimes the number of squares fell below the working memory capacity, sometimes it rose above it. Electrodes inserted into the monkeys' brains recorded the timing and frequency of brain waves produced by various populations of neurons as the animals tackled each task.

Queste onde sono essenzialmente i ritmi coordinati di milioni di neuroni che diventano attivi o silenziosi nello stesso momento. Quando le aree del cervello mostrano oscillazioni corrispondenti, sia nel tempo sia nella frequenza, si dice che sono sincronizzate. “È come se stessero ronzando insieme”, ha detto Miller. “E i neuroni che ronzano insieme stanno comunicando”.

Miller paragona tutto questo a una rete stradale: le connessioni fisiche del cervello si comportano come strade e autostrade, mentre gli schemi di risonanza creati dalle onde cerebrali oscillanti che “ronzano” insieme sono i semafori che  dirigono il flusso del traffico. Questa configurazione, ipotizzano i ricercatori, sembra aiutare a “legare” in qualche modo le reti attive a una rappresentazione più solida di un’esperienza.

Phanie / AGF 

Nel loro recente lavoro, Miller e colleghi hanno estratto i dati di oscillazione raccolti dai test sulle scimmie per ottenere informazioni sul funzionamento questa rete di memoria tripartita. Hanno costruito un modello meccanicistico dettagliato che incorpora ipotesi – basate su ricerche precedenti – sulla struttura e sull’attività della rete: le posizioni e i comportamenti (per esempio, eccitatori o inibitori) di specifiche popolazioni neurali, o le frequenze di certe oscillazioni.

I ricercatori hanno quindi generato alcune ipotesi concorrenti su come le diverse aree del cervello potessero “parlare” l’una con l’altra – riguardanti anche la direzione e l’intensità di quel dialogo – quando le scimmie dovevano ricordare sempre più voci. Infine, hanno confrontato questi calcoli con i loro dati sperimentali per determinare quale degli scenari fosse il più probabile.

Their model confirmed that the three brain regions behave like jugglers engaged in an acrobatic throw of objects.

The prefrontal cortex appears to help build an internal model of the world by sending out so-called signals top down o di feedback, che trasmettono questo modello alle aree cerebrali di livello inferiore. Nel frattempo, i campi oculari superficiali frontali e l’area intraparietale laterale inviano un input sensoriale grezzo alle aree più profonde della corteccia prefrontale, sotto forma di segnali bottom up or feed forward. The differences between the top-down model and bottom-up sensory information allow the brain to understand what it is experiencing and to adjust its internal models accordingly.

Miller e colleghi hanno scoperto che quando il numero di elementi da ricordare superava la capacità della memoria di lavoro delle scimmie, la connessione di feedback top-down dalla corteccia prefrontale alle altre due regioni s’interrompeva. Le connessioni feedforward, invece, rimanevano intatte.

L’indebolimento dei segnali di feedback, secondo i modelli del gruppo, portava a una perdita di sincronia tra le aree del cervello. Senza le comunicazioni orientate alla predizione dalla corteccia prefrontale, la rete della memoria di lavoro andava fuori sincrono.

Update the model
Ma perché il feedback top-down è così vulnerabile a un aumento del numero di elementi da ricordare? L’ipotesi dei ricercatori è che l’informazione modellata proveniente dalla corteccia prefrontale rappresenti essenzialmente un insieme di previsioni su ciò che il cervello percepirà nel mondo: in questo caso, il contenuto degli elementi contenuti nella memoria di lavoro.

“Per esempio, mentre stai leggendo questa frase, avrai delle aspettative sulla parola, su pezzi di frase o sulla frase intera”, osserva Karl Friston, neuroscienziato dello University College di Londra, che non era coinvolto nello studio. “Avere una rappresentazione o un’aspettativa sulla frase in tempo reale significa avere una rappresentazione implicita del passato e del futuro.”

Parecchi neuroscienziati ritengono che il cervello faccia molto affidamento su questa “codifica predittiva” di dati sensoriali per svolgere le proprie funzioni cognitive e di comando routinarie. Ma Miller e colleghi ipotizzano che quando la quantità di oggetti collocati nella memoria di lavoro diventa troppo grande, il numero di previsioni possibili per quegli elementi non può essere codificato facilmente nel segnale di feedback. Di conseguenza, il feedback fallisce e il sistema di memoria di lavoro sovraccarico crolla.

Illustration of brain waves, activation and silencing patterns of different brain cell populations (Science Photo Library RF / AGF)

Il laboratorio di Miller e altri stanno lavorando per ritagliare un ruolo più importante per l’interazione tra le onde cerebrali nel modello di memoria di lavoro, che tradizionalmente pone la maggior parte dell’enfasi sull’attività di trasporto dell’impulso elettrico dei singoli neuroni. Si sta anche studiando il motivo per cui il limite superiore della memoria di lavoro si aggira intorno a quattro o cinque elementi, e non un altro numero.

Miller pensa che il cervello manipoli gli elementi contenuti nella memoria di lavoro uno alla volta, in alternanza. “Ciò significa che tutte le informazioni devono inserirsi in un’onda cerebrale”, ha affermato. “Quando superi la capacità di quell’unica onda cerebrale, hai raggiunto il limite della memoria di lavoro.”

“La domanda ora è dove ci porterà tutto questo”, ha detto Rufin Van Rullen, ricercatore del CNRS francese che trova la modellizzazione e le conclusioni del gruppo “potenti”, in attesa di ulteriori conferme sperimentali. “Dobbiamo effettivamente entrare nel cervello e trovare prove più dirette di queste connessioni”.

La ricompensa potenziale è alta. Irrobustire un modello di codifica predittiva per la memoria di lavoro non solo consentirà una migliore comprensione di come funziona il cervello e di cosa potrebbe andare male nelle malattie neurologiche, ma avrà anche implicazioni cruciali su ciò che intendiamo per “intelligenza” e persino per l’individualità, secondo Friston.

Per cominciare, capire meglio ciò che fanno le connessioni di feedback nel cervello potrebbe portare a grandi passi nella ricerca sull’intelligenza artificiale, che oggi si concentra di più sui segnali feedforward e sugli algoritmi di classificazione. “Ma a volte un sistema potrebbe aver bisogno di prendere una decisione non su ciò che vede ma in base a ciò che ricorda”, ha detto Pinotsis.

(L’originale di questo articolo è stato published June 6, 2018 by QuantaMagazine.org, an independent online editorial publication sponsored by the Simons Foundation to enhance public understanding of science. Translation and editing by Le Scienze. Reproduction authorized, all rights reserved)

Le Scienze – 23 giugno 2018

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