La speculazione sui malati: farmaci sempre più cari, con la scusa dei brevetti

Fra ricerca e sperimentazione, le big pharma investono miliardi. E vogliono rientrare dei soldi spesi, guadagnandoci. Così i prezzi delle medicine finiscono fuori controllo. Le eccezioni nei Paesi poveri (tollerate dalle industrie) e il ruolo che le agenzie nazionali per i farmaci devono giocare nella definizione dei prezzi

di Adriana Bazzi – Corriere.it Extra per Voi

Farmaci troppo cari, ovunque: nei Paesi ricchi che, con qualche limitazione, se li possono ancora permettere, e in quelli poveri, che spesso non hanno i soldi per comprarli. Farmaci, ma anche vaccini. Costosi perché ci sono i brevetti e le industrie farmaceutiche dettano legge. La discussione è cominciata qualche anno fa, ai tempi dell’Aids, quando l’Africa non aveva accesso alle terapie. Ma oggi il problema si è esteso anche da noi e non riguarda solo l’Aids, ma il cancro, soprattutto, e molte altre malattie. Oggi esistono farmaci sempre più efficaci, ma sempre più costosi per molte patologie. E hanno un brevetto: fino a quando quest’ultimo non scade (solo allora si possono produrre i «generici» cioè le copie del farmaco a prezzi molto più bassi) è l’azienda farmaceutica che decide il prezzo (e lo contratta con chi dovrà poi fornire le cure).

Prezzi alle stelle, cure interrotte

Parliamo di anti-tumorali, di farmaci anti epatite C su cui, in questo momento, è rivolta l’attenzione di molti, pazienti e medici (perché costano, ma guariscono definitivamente dalla malattia) e anche di vaccini, magari non costosi per noi, ma per i Paesi in via di sviluppo sì. «Se i prezzi delle medicine salgono, finisce che non puoi più permetterti di curarti», titolava qualche giorno fa UsaToday (sfiora l’icona blu per leggere l’articolo) riprendendo uno studio statistico di Bloomberg. Il discorso è un po’ complicato. Vale la pena di focalizzare l’attenzione su due o tre aspetti. Tanto per cominciare non è detto che i farmaci più costosi siano quelli di ultimissima generazione.

L’antitumorale passato da 26 a 120 mila dollari l’anno

E’ curioso il caso del dasatinib (Glivec), un antitumorale introdotto in terapia dall’azienda produttrice Novartis nel 2001: una molecola strepitosa, capace di tenere sotto controllo una rara forma di leucemia (quella mieloide cronica): prima di quella data la sopravvivenza di un malato era di 4 o 5 anni, oggi è sovrapponibile a quella di persone sane. Doveva essere un farmaco di nicchia e l’azienda non sperava in grandi guadagni: all’epoca la terapia costava 26.400 dollari all’anno. Poi, attraverso meccanismi misteriosi, il suo prezzo è lievitato e, oggi, il costo di un anno di terapia raggiunge la cifra di 120 mila dollari, nonostante siano arrivati sul mercato dei prodotti analoghi competitori (il dasatinib della Bristol –Myers e il nilotinib sempre della Novartis) più costosi dell’imatinib. Ma parallelamente alla loro introduzione anche il prezzo del Glivec è aumentato. Stranamente.

Il report-denuncia dell’università del North Carolina

L’analisi è stata condotta da Stacie Dusetzina dell’University of North Carolina a Chapel Hill e riportata dal Washingtono Post. E l’aumento del costo del farmaco, almeno negli Stati Uniti, ha significato per molte persone (che, sì, hanno un’assicurazione, ma che devono contribuire alla spesa per i farmaci) un aumento medio della quota del co-pagamento da 16 dollari al mese nel 2001 a 33 dollari nel 2014. Che per molti significa un impegno economico non da poco, anche perché la terapia va continuata nel tempo. Per l’Imatinib il brevetto sta scadendo, il che aprirebbe la strada alla produzione di generici, a costi più bassi, ma le aziende, pur di mantenere il loro farmaco “branded” sul mercato il più possibile, cercano in ogni modo di dilazionare i tempi (come ha segnalato il Washington Post: la Novartis è in causa con un’azienda produttrice di generici e sta ritardando l’arrivo sul mercato del farmaco non griffato).

Italia: terra di nessuno; rimborsi negati

Le cose vanno meglio in Italia, dove ancora esiste un sistema sanitario pubblico che garantisce l’accesso ai farmaci, ma non sarà così per molto. Come ha appena denunciato l’Associazione italiana di oncologia medica (Aiom) alcune Regioni non garantiscono più i farmaci antitumorali innovativi a pazienti che provengono da altre Regioni perché poi queste ultime non rimborsano. Negando così ai malati l’accesso alle cure. Tutto il mondo scientifico è in allarme: 110 fra i più importanti oncologi francesi hanno lanciato poche settimane fa un appello sul quotidianoLe Figaro denunciando l’insostenibile costo degli antitumorali e parlano di una situazione «esplosiva».

Gran Bretagna: costi proporzionali ai benefici

La Gran Bretagna si difende negando l’accesso ad alcuni farmaci il cui costo non appare proporzionale ai benefici (per esempio qualche settimana di vita in più per i pazienti). Da notare che il prezzo dei farmaci in Europa è molto più basso che negli Usa perché qui sono gli Stati a contrattarlo con le aziende e non le assicurazioni (come negli Usa). Negli Stati Uniti, come ha appena segnalato il quotidiano Wall Street Journal, il prezzo medio dei farmaci branded (griffati, cioè soggetti a brevetto) è raddoppiato negli ultimi cinque anni. Ed è diventato un tema della campagna elettorale per le elezioni presidenziali.

Il prezzo degli antiepatite C «calmierato» a 30 mila euro

Altro esempio su cui si discute in questo periodo: i farmaci antiepatite C, costosi, troppo costosi, ma capaci di guarire la malattia. Negli Stati Uniti un ciclo di trattamento con il primo arrivato sul mercato (il sofosbuvir- Sovaldi della Gilead) all’inizio arrivava fino a 80 mila dollari; in Italia, trattative segrete con le aziende da parte dell’Aifa, l’Agenzia italiana del farmaco, hanno permesso di ottenere, oggi, nel nostro Paese, i prezzi più bassi in Europa (attorno ai 30 mila euro). Ma attualmente hanno accesso alla terapia solo i pazienti più gravi. Altri sono esclusi. Ma proprio per i farmaci anti-epatite C (e non solo) si è scatenata la guerra dei brevetti. Perché alcuni Stati, India in prima fila, producono forme generiche anche di molecole ancora oggetto di brevetti.

Le molecole copiate in India e Brasile

Succede che alcune aziende multinazionali fanno concessioni (cioè permettono la produzione di generici) a certi Paesi (India, ma anche Brasile, per esempio) in base a diverse considerazioni, soprattutto di ordine economico. Ma i farmaci prodotti come generici da questi Paesi sono destinati al mercato interno e non all’esportazione. Quindi l’antiepatite C a basso costo non è per i malati italiani. Però le aziende stanno chiedendo brevetti anche in questi Paesi: lo ha fatto la Gilead per il suo farmaco anti-epatite C. Ma l’Alta Corte indiana ha rifiutato la richiesta ritenendo il prodotto «non innovativo» ( su questo ci sarebbe da discutere perché lo è) e ha rimandato il dossier all’Ufficio Brevetti.

Medici senza Frontiere contro i brevetti

Anche l’Associazione Medici senza Frontiere (Msf) si è opposta alla domanda di brevetto della Gilead, così come sta facendo opposizione anche a quella dell’azienda Pfizer, sempre in India, per vaccino anti-pneumococco contro la polmonite e la meningite (tra le principali cause di mortalità fra i bambini, soprattutto). Msf auspica che versioni del vaccino più economiche possano entrare sul mercato ed essere disponibili, per i Paesi in via di sviluppo e le organizzazioni umanitarie. Oggi è 68 volte più costoso vaccinare un bambino rispetto al 2001 e Msf chiede alle aziende produttrici di ridurre il costo del vaccino.

Investimenti e introiti delle aziende farmaceutiche

THE problemi sul tavolo, dunque, sono moltissimi e altrettanto le domande in cerca di risposta. Ecco le più importanti. a) Come si stabilisce oggi il prezzo di un farmaco? Le aziende vogliono essere ripagate degli investimenti per la ricerca e sviluppo: giusto, ma questi, da soli, non giustificano i costi esorbitanti delle medicine oggi sul mercato. b) Si devono allora prendere in considerazione altri parametri? Per esempio quanto un farmaco che controlla o guarisce una malattia può far risparmiare al servizio sanitario per eventuali complicanze future della malattia? c) E’ giusto che le aziende abbiano un ritorno dei loro investimenti in ricerca per lo sviluppo di un farmaco. Ma quanto queste ricerche sono state condotte grazie anche a contributi delle istituzioni pubbliche? d) Le aziende farmaceutiche sono le prime a essere messe sul banco degli imputati e si chiede loro di ridurre i prezzi dei farmaci (il loro business). Ma perché solo alle big pharma? e) Le malattie non sono l’unico problema. Per esempio, nei Paesi poveri c’è tanta malnutrizione. Perché non si chiede all’industria alimentare di fornire alimenti a basso costo per chi muore di fame? Per esempio omogeneizzati e acqua potabile in bottiglia? Perché non si colpevolizzano un po’ anche le big food?

3 aprile 2016

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