Ammalata di cancro denuncia: negato un farmaco indispensabile

Stefano Rossi – 08 aprile 2013

L’outsourcing giustifica il licenziamento se si dimostra l’impossibilità di «ripescaggio» del lavoratore. Lo precisa la Cassazione con la sentenza 6346 del 13 marzo scorso. Nei fatti, una società di ricerca, produzione e commercializzazione di farmaci decide di esternalizzare il servizio di infermeria per le visite preassuntive e di controllo dei dipendenti. L’infermiera addetta al servizio viene così licenziata per soppressione del posto di lavoro. Il ricorso della donna viene però respinto dal tribunale e, poi, dalla Corte di appello. Quest’ultima, in particolare, conferma il licenziamento sostenendo la legittimità dell’affidamento del servizio a una società esterna: per i giudici, la soppressione del posto di lavoro e il licenziamento sono sorretti da valide ragioni inerenti l’attività produttiva e l’organizzazione del lavoro, previste dal l’articolo 3 della legge 604/1966. Circa poi l’obbligo di ripescaggio della lavoratrice, la Corte precisa che l’infermiera non aveva indicato concretamente la posizione di lavoro in cui poteva essere reimpiegata. La vicenda giunge in Cassazione. E la Corte, rigettando il ricorso, sostiene la genuinità del l’appalto del servizio perché l’attività infermieristica esternalizzata è estranea a quella propria della società farmaceutica. La legittima soppressione del posto di lavoro consente quindi al datore di lavoro di licenziare la dipendente per giustificato motivo oggettivo, dimostrata l’impossibilità della sua ricollocazione interna. Infatti, l’azienda ha documentato di aver assunto, nei 12 mesi successivi al licenziamento e in tutto il territorio nazionale, un addetto al controllo qualità e un manutentore elettrico: professionalità estranee a quelle dell’infermiera licenziata. In questo quadro – si legge nella sentenza – spettava alla dipendente l’onere di indicare in maniera concreta (e non generica, come aveva fatto) le posizioni di lavoro in cui poter essere reimpiegata. La pronuncia segue la sentenza 7512 del 2012, con cui la Cassazione aveva analizzato il caso di licenziamento per soppressione del posto di lavoro per la crisi e il crollo del fatturato. La Corte aveva chiarito che, sebbene gravi sul datore di lavoro la prova dell’impossibilità di utilizzare il lavoratore in mansioni diverse da quelle svolte in precedenza, il lavoratore deve comunque collaborare nell’accertare la possibilità di essere utilizzato in modo diverso e proficuo, indicando gli altri posti di lavoro nei quali poteva essere ricollocato. Tuttavia, con la sentenza 11356 del 2011 la Cassazione ha chiarito che la mancata assunzione di nuovi lavoratori nel reparto indicato per l’eventuale reimpiego del lavoratore licenziato per giustificato motivo oggettivo non è sufficiente a ritenere assolto l’obbligo di ripescaggio.

Stefano Rossi – Il Sole 24 Ore – leggi su http://24o.it/QsF5k

 

 

 

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