Lo scorso dicembre, la Conferenza Stato-Regioni approvava un decreto attuativo del Ministero della Salute, emanato di concerto con il Mef, che rende retroattivi i criteri di riparto del payback introdotti dalla legge 189/2024, applicandoli anche all’anno precedente alla sua entrata in vigore. Due voti contrari: Lombardia e Lazio. Regione Lombardia ha ora presentato un ricorso al TAR del Lazio per contestare la retroattività della norma.
Ci troviamo di fronte a un caso esemplare di orrore regolatorio. Già di per sé, il payback genera incertezza tra gli operatori del settore farmaceutico, forzati ad accantonare risorse in vista di un indeterminabile scostamento da ripianare. E l’incertezza, si sa, è nemica degli investimenti. Ora l’incertezza viene trasferita anche ai regolatori regionali, che sperimentano cambi retroattivi nei criteri di ripartizione. Non a caso, nel contestare questo cambio retroattivo dei criteri, Regione Lombardia lamenta il venir meno di elementi cardine nella pianificazione finanziaria della regione. Con i nuovi criteri, la quota di payback riconosciuta alla regione per il 2023 passerebbe da 277,4 milioni di euro a 146,7 milioni, con una perdita di circa 130,7 milioni. Oltre alla Lombardia, nel 2023 le regioni più penalizzate sarebbero Veneto (21 milioni), Sicilia (19 milioni) e Lazio (10 milioni), mentre le regioni a guadagnarci di più sarebbero Campania (51 milioni), Emilia Romagna (30 milioni) e Sardegna (21 milioni).
Se Regione Lombardia contesta solo la retroattività della norma, vale la pena osservare che nella sostanza essa ridurrà gli incentivi per le regioni a contenere la spesa farmaceutica. Invece che premiare le regioni virtuose con gli scostamenti più bassi, in questo sistema sanitario in affanno e in cerca di rastrellare risorse ovunque possibile, si riesce solo ad applicare toppe dove emergono buchi. Più sfori, più vieni rimborsato. Tanto pagano le aziende.
Istituto Bruno Leoni – 1 aprile 2025
Nota 1: Il payback è una misura introdotta nel 2008 per arginare l’aumento della spesa pubblica farmaceutica, produce effetti distorsivi e limitativi della capacità delle imprese che fanno ricerca e innovazione dal momento che è foriero, oltre che di costi aggiuntivi, di una forte imprevedibilità. Nel tentativo di porre un argine
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Nota 2:
Il tetto di spesa viene programmato di anno in anno in maniera incredibilmente bassa rispetto alla spesa storica, il che fa pensare che più che la spesa si programmi proprio il payback.
I tetti sono legati esclusivamente al finanziamento complessivo della sanità pubblica, senza alcun legame tra finanziamento e stima del fabbisogno, inteso come calcolo epidemiologico. Si ignora il fabbisogno, e, partendo dal finanziamento complessivo della sanità, si ritaglia una fetta per il comparto farmaceutico e una per i dispositivi medici, a prescindere dall’innovazione prevista, dall’uscita di alcuni medicinali innovativi e dai bisogni epidemiologici». L’impatto del payback è costato quasi 20 miliardi di euro dal 2013 al 2023.
Il payback per lo sforamento dei tetti è un meccanismo che chiede conto “ex post” dei consumi che eccedono il pianificato addossando all’offerta la “colpa” d’inflazionarne la domanda, non tenendo conto che la terapia segue pedissequamente la necessità di cura (es. in oncologia). Invece l’industria ne è considerata responsabile e perciò sanzionabile (payback).
Tutto questo per dire che le Regioni hanno tutto l’interesse di mantenere lo “status quo” per l’acquisto diretto dei farmaci in quanto spendono molto meno (con gare d’acquisto al massimo ribasso o con base d’asta troppo basso) e, superando il tetto, volutamente sottostimato, recuperano il 50% dello stesso sforamento che fanno e nel contempo contengono la spesa farmaceutica, che è già la più
Proprio sui livelli dei consumi e della relativa spesa occorre poi svolgere una riflessione seria, scevra di qualsiasi condizionamento. Pur comprendendo le preoccupazioni delle amministrazioni regionali circa la necessità di contenere adeguatamente i profili di spesa, occorre sottolineare che sia la spesa farmaceutica per acquisti diretti che quella “convenzionata” sono inesorabilmente destinate ad aumentare. La prima perché su di essa grava l’acquisto di farmaci innovativi ad alto costo, destinati ad essere impiegati in terapie di medio periodo e quindi particolarmente costose; la seconda perché rivolta ad una ampia platea di pazienti sempre più anziani, la cui aspettativa di vita si allunga proprio in ragione della durata di terapie di lungo periodo, spesso riferite a patologie diagnosticate precocemente.
Ebbene esiste un’unica e non praticabile alternativa all’innalzamento della spesa farmaceutica: non curare i pazienti, valutando le inevitabili deleterie conseguenze che si verificherebbero.
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