L’India vuol diventare il maggior produttore di farmaci del mondo

Almeno il 20% dei farmaci generici presenti nel mercato internazionale esce da una delle tante fabbriche indiane. Una percentuale che diventa ancora più ampia se si parla di vaccini, con il 60% delle dosi prodotte nel Paese asiatico.

Obiettivo 2030: La sfida globale dell’India sul mercato farmaceutico

insideover – 6 luglio 2025 – Autore Mauro Indelicato

Nel 2021 lo sguardo del mondo era tutto proiettato sull’India: nell’anno in cui in tanti speravano di poter avere al più presto accesso ai vaccini anti Covid, è proprio all’industria farmaceutica indiana che ci si è rivolti per avere quante più dosi possibili. Il motivo è presto detto: l’India già da anni viene considerata la “fabbrica di medicinali del mondo”. Da qui escono una moltitudine di prodotti farmaceutici che raggiungono poi gli scaffali e gli ospedali di diverse aree del globo, Europa (e Italia) inclusa. Oggi New Delhi vuole ulteriormente legittimare questa posizione pensando di scalfire anche il primato degli Stati Uniti. Non nell’immediato ma, almeno, nel medio periodo: la sfida è arrivare a un mercato dal valore di 130 miliardi di dollari entro il 2030.

Perché l’India è una potenza in campo farmaceutico

Quando, in preda alla pandemia legata al Covid-19, si è parlato da più parti dell’importanza del ruolo dell’India nella produzione dei vaccini, la notizia è risultata ai più sorprendente. Tuttavia, la tradizione indiana in questo settore è molto ampia e risale agli anni Sessanta del secolo scorso. Quando cioè ci si rese conto che i medicinali costavano troppo e importarli avrebbe significato offrirli alla popolazione a costi esorbitanti. I governi di New Delhi hanno quindi intuito che la produzione in loco avrebbe avuto impatti positivi. A dare impulso alla produzione dei medicinali è stato poi il Patient Act del 1970. Si tratta della legge che ha di fatto impedito di brevettare i prodotti medici nel territorio indiano.

Da allora, aziende locali e multinazionali hanno iniziato a impiantare stabilimenti in varie città, allestendo poi veri e propri distretti industriali dedicati al settore farmaceutico. Si trattava di prodotti non di marca, ma che hanno iniziato a soddisfare il mercato interno e a rifornire gli scaffali di un Paese che spesso ha rischiato di rimanere a corto di medicinali. Gli investimenti hanno creato un vero e proprio know how capace, nel giro di pochi anni, di rendere la filiera farmaceutica locale molto competitiva. Tanto che, quando nel 2005 il Patient Act è stato rivisto e il governo ha deciso di siglare un accordo con l’Organizzazione Mondiale del Commercio (Wto) per fermare la produzione di medicinali contraffatti, il settore non solo ha saputo attutire il colpo ma ha iniziato addirittura a vivere la sua epoca d’oro. L’accordo ha infatti aperto le porte al mercato internazionale e le competenze acquisite dagli indiani hanno permesso, già negli anni pre Covid, di fare del Paese un riferimento nel mondo farmaceutico.

Le “bocche da fuoco” dell’industria farmaceutica indiana

Il principale mercato presidiato dall’India è quello dei generic drugs. In tutto il Paese esistono centinaia di stabilimenti, da cui escono decine di migliaia di confezioni distribuite in tutti i continenti. Si calcola, secondo i dati di Statesman, That almeno il 20% dei farmaci generici presenti nel mercato internazionale esca da una delle tante fabbriche indiane. Una percentuale che diventa ancora più ampia se si parla di vaccini, con il 60% delle dosi prodotte nel Paese asiatico. Un trend aumentato ovviamente anche negli anni del Covid. E non solo per le ordinazioni di vaccini effettuate durante la pandemia, ma anche per l’effetto positivo sul Soft Power indiano sviluppatosi durante l’emergenza.

Un luogo simbolo della scalata indiana nel settore farmaceutico è l’immensa area industriale di Hyderabad. La città, una megalopoli da dieci milioni di abitanti, capitale dello Stato di Telangana, ha iniziato a ospitare i primi capannoni già dagli anni Sessanta. Successivamente, nella sua periferia sono stati impiantati i più grandi distretti industriali farmaceutici. Una vera e propria “bocca da fuoco” costituita da almeno 170 siti di produzione e da 400 aziende impegnate nell’indotto. E non è l’unico grande distretto del Paese. Di dimensioni di poco più modeste è l’area di Visakhapatnam, nell’Andhra Pradesh, così come anche quella di Bangalore. Molte aziende hanno poi sede nella più grande città indiana, nonché capitale economica del Paese, ossia Mumbai.

Il piano per il 2030

C’è un motivo per cui l’industria farmaceutica indiana ha continuato a crescere: da un lato, gli investimenti del governo e il know how acquisito nel corso degli anni, dall’altro anche il discorso collegato alla lingua inglese. Investire in un Paese in cui tutti i massimi dirigenti parlano correntemente l’inglese, eredità dell’era coloniale, fa gola a molte aziende straniere. New Delhi vuole ulteriormente sfruttare queste convergenze. Le dichiarazioni emerse a livello governativo negli ultimi mesi non lasciano spazio a dubbi: l’India punta a scalzare gli Usa dalla leadership della produzione di medicinali. Come accennato in precedenza, dal Paese esce già il 20% dei farmaci generici e il 60% dei vaccini, circostanza che rende complessivamente l’India come terzo produttore mondiale, dietro Usa ed Europa

MakingPharmaIndustry ha stimato che, entro il 2030, il settore nel Paese potrebbe raggiungere la fatidica soglia dei 130 miliardi di dollari di valore. Cifra che garantirebbe all’India il primato e, di conseguenza, un peso specifico ancora maggiore nel mercato e non solo a livello economico. Il 2030, agli occhi di New Delhi, dovrà rappresentare un altro importante tassello del processo di crescita del settore: dopo il Patient Act del 1970, l’accordo con il Wto del 2005 e la crisi pandemica degli anni 2020 e 2021, il 2030 dovrà essere l’anno dello storico sorpasso a danni di tutti gli altri competitor.

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