La ricerca indipendente?

Di Riccardo Tomassetti
“Con questi venti di riduzione dei fondi per la ricerca pubblica, la partecipazione agli studi promossi dalle aziende farmaceutiche consente di avere fondi da dedicare ad altre attività fondamentali per portare avanti una ricerca indipendente e/o per assicurare al reparto uno standard qualitativo migliore”, ha spiegato Giovanni Di Perri, direttore del Dipartimento di malattie infettive dell’Amedeo di Savoia di Torino, durante il Seminario annuale dell’onlus Nadir, associazione che si propone di trasformare i pazienti sieropositivi in protagonisti attivi nelle scelte che riguardano la propria salute. Anche nella partecipazione ai trial clinici. Ma come trovare i soldi per fare ricerca, non solo allineandosi alle richieste delle aziende ma tentando di indagare e approfondire idee e stimoli che vengono dalla pratica medica quotidiana?
“I fondi così ottenuti – ha proseguito Di Perri – si possono utilizzare per acquistare nuove apparecchiature, oppure trasformarli in borse di studio per gli studenti o usarli per mandare il personale a studiare all’estero”.
Per ogni paziente arruolato in uno studio clinico le grandi aziende farmaceutiche versano infatti all’ospedale una quota che serve a risarcire della prestazione addizionale (in termini di personale impiegato, utilizzo della strumentazione, ecc.) che si aggiunge alla normale routine del reparto. Su quello che resta dopo che l’azienda ospedaliera ha trattenuto, secondo le strutture, dal 20 al 60%, il regolamento riconosce al primario facoltà di spesa, dietro approvazione del direttore generale. E i responsabili dei grandi centri clinici stanno letteralmente “facendo tesoro” di questa possibilità. In attesa che il vento cambi…
Da “il Bisturi”
 
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