L’IMPRESA SALUTE FA IL 12,4% DELLA RICCHEZZA ITALIANA

Addetti +3,3%; produzione +8,4% – Il valore aggiunto (88,37 miliardi) è pari al 6% del Pil – Ma c’è tensione sul decentramento

Le razionalizzazioni degli anni ’90 sono un opaco ricordo. La spesa sanitaria ha ripreso a correre, tanto che negli ultimi sei anni i costi del Ssn sono quasi raddoppiati (+49,6%). La voglia di tagli spot e ciechi vincoli di bilancio potrebbe essere di nuovo dietro l’angolo. Col rischio di mandare in fumo l’occasione di crescita rappresentata dalla "filiera della salute" che – con l’ultima manovra – ha appena assaporato il gusto di non esser più considerata esclusivamente "fonte di spesa". Non è un caso dunque se nella seconda edizione della ricerca sull’andamento della "filiera della salute" promossa da Confindustria e realizzata dal Nicola Quirino, docente di Finanza pubblica presso la Luiss – di cui presentiamo il testo in queste pagine – spicca in premessa l’invito a riflettere sugli effetti del decentramento delle funzioni in campo sanitario. «È in generale molto difficile stabilire se esso di per sé accresca, o riduca, il livello di efficienza/equità di un sistemasanitario » – si legge nel documento – «in definitiva tutto dipende dal particolare contesto di riferimento». «Tuttavia, se si considerano i maggiori Paesi europei non si può ignorare il fatto che i sistemi sanitari francese e inglese, pur essendo fortemente centralizzati, assorbono un minore volume di risorse e assicurano una migliore tutela della salute rispetto alla Sanità tedesca, il cui punto debole è rappresentato proprio dalla disomogeneità e duplicazione delle prestazioni tra i diversi Länder». Il colpo di grazia agli attuali equilibri-squilibri di settore arriva dal riferimento al caso Spagna, dove la devoluzione sanitaria ha innescato accesi contrasti tra centro e periferia e dove «le comunità più povere temono di non poter far fronte negli anni alla crescente domanda di assistenza della popolazione». Parole che pesano, perché provengono dalla quarta filiera nazionale per numero di addetti (1.513,6mila; 6,1% del totale nazionale; 86% dipendenti), che vanta un valore aggiunto diretto e indotto pari al 12,5% del totale nazionale e realizza il 6,5% dell’intera produzione nazionale con un prodotto per occupato superiore del 6,4% al dato medio Italia (125,7 euro contro 118,1). L’identikit dettagliato nell’ambito dello studio che fa i conti con le potenzialità del settore, i bisogni del Ssn, il rischio invecchiamento, trascurando solo di aggiornare l’aspetto ricerca, poiché i dati Istat sono ancora fermi all’edizione 2004 dello studio. (S.Tod.)
«Il particolare andamento registrato negli ultimi anni dalla spesa sanitaria ha indotto le autorità di politica economica, gli studiosi e i mass media a concentrarsi quasi esclusivamente sulle misure tese ad arginarla, ignorando tuttavia che la "filiera della salute" raggruppa un insieme di attività che partecipano in misura notevole alla formazione della ricchezza nazionale, esercitano un marcato effetto di trascinamento sul resto dell’economia, assorbono un’elevata quota dell’occupazione totale e investono massicciamente nella ricerca scientifica e nell’innovazione tecnologica. In altre parole, essa agisce sui processi di sviluppo sia indirettamente, creando un ambiente favorevole alla crescita della produttività del lavoro e alla coesione sociale (le cosiddette esternalità positive), sia direttamente attraverso l’impiego di risorse nel proprio ciclo produttivo e la creazione di valore aggiunto. La filiera in esame – intesa come il complesso delle attività riferite alla fabbricazione e al commercio di prodotti farmaceutici e dispositivi medici, ricerca scientifica in campo medico e pres

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