Milioni di euro sprecati con i farmaci che troppo spesso buttiamo via

Secondo l’Oms in Europa i costi della non aderenza alle terapie farmacologiche si aggirano intorno ai 125 miliardi di euro l’anno. Ecco i motivi degli sprechi

di Maria Giovanna Faiella

Farmaci di cui si fa uso eccessivo, o al contrario lasciati inutilizzati nell’armadietto anche se il dottore li ha prescritti; medicine non assunte nel modo giusto perché possano dare benefici – abusandone, o viceversa, in dosi insufficienti – o, ancora, terapie interrotte non appena si sta un po’ meglio, anche se la malattia è cronica e va tenuta sotto controllo. Tutti errori che si pagano, non solo in termini di salute, ma anche in termini di soldi “buttati via”, in un modo o nell’altro. In Europa i costi della non aderenza alle terapie farmacologiche, secondo le stime dell’Organizzazione mondiale della sanità, si aggirano intorno ai 125 miliardi di euro l’anno. E se le condizioni di salute peggiorano, bisogna fare ricorso nel migliore dei casi ad altre medicine, ma aumentano anche gli accessi al pronto soccorso, i ricoveri, le morti premature.Ma questa è solo una delle due facce della «appropriatezza delle cure farmacologiche»: l’altra è la prescrizione adeguata, ed è compito dei medici. Nel suoi due aspetti l’appropriatezza delle cure è, specie in un periodo di scarse risorse e in cui aumentano popolazione anziana e malattie croniche, una sfida per tutti i Servizi sanitari, compreso il nostro.

L’uso inappropriato degli antibiotici

Ma quali farmaci “sprechiamo”? Ce lo dice il “Rapporto OsMed 2013”, elaborato dall’Osservatorio nazionale sull’impiego dei Medicinali, istituito presso l’Aifa-Agenzia italiana del farmaco. Il Rapporto, per esempio, segnala ancora una volta l’annosa questione degli antibiotici: l’anno scorso il loro consumo è cresciuto del 3,5% rispetto al 2012. Se ne assumono di più, indicano i dati OsMed, in Campania, Puglia, Calabria e Sicilia. L’impiego non appropriato di antibiotici supera il 20% in tutte le condizioni cliniche, ma si arriva al 49,3% per la laringotracheite e al 36,3% per la cistite non complicata. E a poco sono serviti finora i moniti degli esperti, che ripetono, come fa una volta di più il direttore dell’Aifa, Luca Pani: «L’uso inappropriato degli antibiotici non rappresenta solo un problema di costi a carico del Servizio sanitario, ma soprattutto un problema di salute pubblica, poiché favorisce l’insorgenza di resistenze batteriche con una progressiva perdita di efficacia di questi farmaci».

Minore aderenza alle terapie

Dall’analisi dei dati delle Aziende sanitarie locali, poi, emergono bassi livelli di aderenza alle prescrizioni principalmente per i medicinali utilizzati nei disturbi ostruttivi delle vie respiratorie, per gli antidepressivi e i farmaci per la prevenzione del rischio cardiovascolare. In quest’ultimo caso, secondo il Rapporto OsMed, pur essendo circa 16 milioni gli italiani che soffrono di ipertensione (uno dei più importanti fattori di rischio per malattie cardiovascolari, ictus e insufficienza renale), ad assumere antipertensivi sono in meno di 8 milioni, sebbene abbiano ricevuto la diagnosi e quindi la prescrizione. A causare una minore aderenza alle terapie ci si mettono anche, stando almeno ad alcuni studi, i costi dei ticket. «L’aumento dei ticket sui medicinali in fascia A (a carico del Servizio sanitario), soprattutto in alcune Regioni con piani di rientro, è un “ostacolo” nell’accesso alle cure segnalato sempre più dai cittadini – sottolinea Tonino Aceti, coordinatore nazionale del Tribunale per i diritti del malato-Cittadinanzattiva, che ha promosso la campagna “I due volti della sanità: sprechi e buone pratiche” -. Per esempio, il Rapporto OsMed rileva i bassi livelli di aderenza ai farmaci di chi soffre di bpco, la broncopneumopatia cronica ostruttiva. Perché? Forse perché, pur essendo una malattia cronica, non è ancora riconosciuta come tale dalla nostra Sanità, per cui il malato non ha diritto all’esenzione e deve pagare i ticket, per molti troppo onerosi. E così si rinuncia ai farmaci prescritti».

Inappropriatezza delle prescrizioni

C’è poi, come si è detto, il fattore “inappropriatezza delle prescrizioni”. Per esempio, in base agli indicatori di appropriatezza utilizzati nel Rapporto, per il 46,5% dei pazienti che assumono inibitori di pompa per il trattamento dell’ulcera e dell’esofagite (a carico del Servizio sanitario) non ci sono i requisiti di rimborsabilità fissati dalle note Aifa, ovvero si tratta di «consumi altamente inappropriati». La stessa Associazione italiana gastroenterologi ed endoscopisti ospedalieri (Aigo) pensa che siano troppi, per citare un caso, i 20 milioni di euro spesi in un anno nel solo Lazio per farmaci contro il bruciore di stomaco e il reflusso gastrico. «Spesso si prescrivono gli “inibitori di pompa” come “copertura” quando il paziente deve assumere antinfiammatori o antibiotici: lo fanno anche otorini, dentisti, ortopedici – dice il presidente di Aigo, Antonio Balzano -. In molti casi potrebbe bastare un semplice sciroppo. Per migliorare l’appropriatezza delle prescrizioni abbiamo avviato uno specifico studio, prendendo come riferimento proprio il caso del Lazio».

Registri di monitoraggio e linee d’indirizzo

E i medici di famiglia? «Tutto sta nel rapporto di fiducia tra il medico – che non è un semplice “prescrittore” – e l’assistito – sottolinea Fiorenzo Corti della Federazione italiana medici di medicina generale -. Se ogni specialista prescrive farmaci, per esempio per il glaucoma, l’artrosi e la bronchite, spetta poi al medico di famiglia fare la sintesi, perché conosce le condizioni cliniche generali del paziente e può verificare anche se i farmaci interagiscono tra loro». Strumenti per assicurare l’appropriatezza d’impiego dei farmaci, ma anche per contenere la spesa farmaceutica, già esistono: dalle “Note Aifa”, al “Documento programmatico per la valutazione dell’uso dei farmaci nelle cure primarie” predisposto dall’Agenzia insieme ai medici di famiglia; dai registri di monitoraggio, ai piani terapeutici. Alcune Regioni hanno redatto anche proprie linee d’indirizzo per l’uso di specifici farmaci, altre hanno avviato report mensili della spesa farmaceutica. «Le linee guida vanno applicate – ricorda Corti -. In alcune Regioni, nell’ambito della “medicina di iniziativa”, i medici di famiglia in collaborazione con le Asl hanno attivato meccanismi di controllo sull’appropriatezza delle terapie, coinvolgendo i pazienti. Ma servono interventi più strutturati anche in altre realtà del Paese».

Le differenze tra Regioni

Nel consumo e nella spesa per farmaci pesano anche le differenze tra Regioni, che «non sempre sono spiegabili alla luce delle evidenze epidemiologiche» segnala il Rapporto OsMed. «A spendere meno in assistenza farmaceutica territoriale sono proprio le Regioni che garantiscono anche gli altri livelli essenziali di assistenza – commenta Giovanni Bissoni, presidente uscente di Agenas -. Ridurre le inefficienze in quelle meno “virtuose”, quindi, non significa tagliare la spesa sanitaria, ma ridistribuire i risparmi in altri servizi per i cittadini, come indica anche il nuovo Patto per la Salute 2014-2016, approvato in Conferenza Stato-Regioni nel luglio scorso». «Gli sprechi – incalza Aceti – andrebbero individuati anche nella burocrazia, in inutili doppioni di centri decisionali, come le Commissioni territoriali per i prontuari farmaceutici».

Gli sprechi «banali»

Ci sono poi sprechi più “banali”, dai quali si può recuperare non poco. Secondo le stime di Assosalute, Associazione nazionale dei produttori dei farmaci di automedicazione, ogni anno si distruggono circa 12 milioni di confezioni di farmaci da banco, per un valore di circa 30 milioni di euro. Le cause? Diverse, e riguardano anche gli altri medicinali. «Per esempio – spiega il presidente Gaetano Colabucci – si riscontra un difetto del packaging, per cui le scatole non vengono messe in commercio; altri farmaci sono ritirati dal mercato perché prossimi alla scadenza. Ma soprattutto, fino a pochi mesi fa, migliaia di confezioni integre venivano ritirate per aggiornare i foglietti illustrativi». Solo nel 2013 sono state circa 5 mila le variazioni dei “bugiardini”. Da giugno, però, la specifica delle modifiche approvate viene consegnata in farmacia al momento dell’acquisto del medicinale. Fino all’esaurimento delle scorte delle “vecchie” confezioni. Che così non finiscono buttate vie.

15 settembre 2014 | CORRIERE DELLA SERA / salute

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