USA. Prescrizioni: quando il medico è condizionato. N.d.R.

La pressione dei pazienti fa sì che il 52% delle visite specialistiche richieste e il 39% dei medicinali di marca prescritti siano inutili.

26 Maggio 2016 – Italy Journal

Ogni giorno i medici di base si trovano a dover affrontare una mediazione tra le richieste dei pazienti e quello di cui avrebbero realmente bisogno. A volte una visita dallo specialista, seppur superflua, può dare serenità al paziente, il farmaco di marca avere effetti migliori, semplicemente perché ritenuto più efficace. Di fronte a tali situazioni i medici di base come reagiscono?

La risposta arriva da una ricerca condotta da Sapna Kaul, ‘assistant professor’ di economia sanitaria al Dipartimento di medicina preventiva e salute della comunità della ‘University of Texas Medical Branch’ a Galveston, in collaborazione con i ricercatori del ‘Massachusetts General Hospital’ e della ‘Harvard Medical School’. Studio che è stato pubblicato sull”American Journal of Managed Care’.

Nella realizzazione dello studio il team di ricercatori coordinato da Kaul ha preso in esame i dati di un sondaggio a livello nazionale comprendente un campione significativo costituito da 840 pediatri e medici di base. Il 52% di loro ha dichiarato di aver firmato prescrizioni che ritenevano inutili e il 39% di aver prescritto farmaci di marca pur conoscendo l’esistenza di equivalenti con la stessa sicurezza ed efficacia. Proprio come richiesto dai pazienti. E vissero tutti felici e contenti allora? No, perché il risultato, come spiega Kaul, “è un immotivato stress emotivo e finanziario per i pazienti e i loro cari”, oltre al fatto che così non si limitano gli sprechi sanitari.

Un problema che riguarda anche l’Italia. Qui, infatti, i farmaci equivalenti rappresentano il 19% del totale (dati ‘Health at Glance 2015’ dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico) contro il 48% della media Ocse. Secondo il Rapporto del Coordinamento nazionale delle Associazioni dei Malati Cronici di Cittadinanzativa del 2014, a determinare la preferenza del brand sull’equivalente è il fatto che questi sono considerati più efficaci (33,4%) oppure il condizionamento operato sui pazienti dallo scetticismo di alcuni medici per i quali delle differenze seppur minime comunque vi sono (30,8%). E cambiare terapia in favore del generico è qualcosa a cui il 47,3% non pensa e se lo fa (21,6%) con molti dubbi. La scelta di restare con il farmaco di marca costa però al malato 737 euro in più all’anno.

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N.d.R.: Nel rapportare il caso americano all’Italia, l’autore dimentica le “pressioni” e il “condizionamento” delle varie AUSL per il contenimento della spesa farmaceutica. E il problema non sono tanto i generici o i farmaci di marca poiché il SSN paga la stessa cifra e non c’è nessuna perdita per lo Stato, ma i metodi adottati, quelli del bastone e della carote: se i medici prescrivono troppo saranno puniti col rischio di dover pagare di tasca loro le prescrizioni ritenute in eccesso oppure vengono premiati con denaro se prescrivono meno, un vero e proprio comparaggio legalizzato. Nessuno ha niente da dire? Lo sanno i pazienti che i medici sono premiati affinché non li curino?

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