A parlare dell’argomento è Antonella Celano, Presidente APMAR, spiegando perché è sbagliato considerare automaticamente valido il passaggio da un farmaco biologico al biosimilare di riferimento
Al giorno d’oggi, in campo alimentare, l’aggettivo “biologico” rappresenta una sorta di certificato di garanzia che attesta la genuinità del prodotto che portiamo sulla nostra tavola. Analogamente, in campo medico, i farmaci biologici sono un esempio del cambio di marcia nella cura di patologie come l’anemia, la fibrosi cistica e il cancro. Formalmente e strutturalmente diversi rispetto ai farmaci tradizionali, i biologici, negli ultimi trent’anni, hanno rivoluzionato il settore della medicina, spalancando le porte della terapia su ampio numero di condizioni patologiche e configurandosi come un modello di ricerca su cui puntare, tanto che, attualmente, circa la metà dei farmaci in via di sviluppo rientra in questa categoria.
La loro unicità e la necessità di contenere i possibili effetti collaterali dovuti a reazioni di immunogenicità sono legate a un processo produttivo costantemente sottoposto ad attenti controllida parte delle Autorità Regolatorie nazionali e internazionali, che implica costi di produzione molto elevati. Per tale ragione, un’eventuale sostituzione con farmaci biosimilari deve essere valutata con profonda attenzione dal medico insieme al paziente, e non può essere un processo automatico, fondato esclusivamente sul principio del risparmio economico.
Su questa problematica si è espressa in maniera molto chiara la dott.ssa Antonella Celano, Presidente di APMAR (Associazione Nazionale Persone con Malattie Reumatologiche e Rare), che in una lettera aperta alla Conferenza Stato-Regioni ha segnalato la spiacevole situazione di cui sono vittime molti pazienti. “Dopo circa diciassette anni dall’arrivo sul mercato italiano, i brevetti di molti farmaci biologici hanno cominciato a scadere”, spiega Celano. “Questo ha portato all’avvento di farmaci biosimilari che, come dice il termine stesso, sono simili al biologico corrispondente ma non uguali in tutto e per tutto, perché derivano da un filiera produttiva diversa. Le diverse metodiche di produzione possono, pertanto, tradursi in differenze tra il biologico e il biosimilare di riferimento, esplicabili in termini di efficacia, tollerabilità e sicurezza”.
La prescrivibilità dei farmaci biologici è regolamentata da meticolosi protocolli dell’AIFA e dai risultati di numerosi studi osservazionali che hanno determinato, nel corso degli anni, un accumulo di conoscenze relative, in modo particolare, agli effetti a lungo termine e ai profili di sicurezza di tali molecole. La tutela del brevetto garantisce un recupero degli esorbitanti costi di produzione e costituisce un incentivo per le aziende a proseguire nella ricerca e nella produzione di questa classe di farmaci. L’avvento dei biosimilari implica, perciò, una necessaria cautela, dal momento che non è ancora disponibile la stessa quantità di dati elaborata per i biologici. Inoltre, le procedure di supervisione dei processi produttivi dei biosimilari non sono equivalenti a quelle dei farmaci biologici.
Nonostante ciò, sempre più spesso si osserva la sostituzione del farmaco biologico con il biosimilare di riferimento, a scapito della continuità terapeutica. “In Italia, diverse regioni, come Piemonte e Toscana, hanno iniziato a imporre la prescrivibilità di farmaci biosimilari a più basso costo”, continua Celano. “Il problema nasce nel momento in cui si genera un’estrapolazione delle indicazioni [il considerare le indicazioni di un farmaco biologico automaticamente valide anche per il biosimilare di riferimento, N. d. R.] e, anche in assenza di studi eseguiti su una casistica consistente, vengono prescritti i farmaci biosimilari anziché i biologici. La nostra legge di bilancio sancisce la continuità terapeutica che, però, le regioni non considerano, imponendo frequentemente lo ‘switch’ da farmaco biologico a biosimilare. Oltre ad essere sbagliato, tutto ciò è paradossale, dal momento che in qualche regione può accadere che, in dipendenza dalle gare che le istituzioni si aggiudicano, il farmaco a più basso costo non sia il biosimilare bensì il biologico. Sarebbe sempre opportuno valutare caso per caso, farmacia per farmacia, ASL per ASL, e da ciò si deduce come, in una sanità così frastagliata come la nostra, il problema diventi importante. Da tutto ciò nasce la lettera alla Conferenza Stato-Regioni, perché questo organismo super partes vigili sul comportamento delle regioni stesse”.
Il fatto che i farmaci biosimilari non siano automaticamente approvati per le stesse indicazioni dei biologici corrispondenti è il nodo dell’intera questione: l’estrapolazione delle indicazioni è alla base di un comportamento palesemente sbagliato, soprattutto per quanto riguarda i farmaci pediatrici, sottoposti a una lunga serie di valutazioni a cui è necessario siano sottoposti anche i biosimilari. Infine, Celano, che rappresenta APMAR all’interno dell’Alleanza Malattie Rare, sottolinea come questa pericolosa tendenza “potrebbe arrivare a riguardare anche le malattie rare e quelle oncologiche curate con farmaco biologico”, estendendo il problema anche a una sempre più ampia categoria di malati.