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Farmaceutica, Sigma-Tau-choc. In cassa integrazione 569 dipendenti

MILANO – Uno su quattro. Su oltre 2.400 dipendenti, la richiesta di una procedura di cassa integrazione straordinaria per 569. «Un piano di risanamento per recuperare efficienza – recita la nota diffusa dall’italiana Sigma-Tau Industrie Farmaceutiche Riunite (fondata nel ’57 dal chimico Claudio Cavazza scomparso poco tempo fa) – in virtù della volontà dell’azienda e degli azionisti di non delocalizzare la produzione e la ricerca». Epicentro della vertenza: la sede e lo stabilimento di Pomezia, in provincia di Roma. Un fiore all’occhiello del made in Italy (è ancora controllata dalla famiglia Cavazza) che decide di non poter più garantire una continuità aziendale se non al prezzo di una temporanea procedura di cassa integrazione per buona parte dei suoi dipendenti.

LE RAGIONI – Alla base della crisi – dicono fonti interne al gruppo (673 milioni di euro di fatturato nel 2010) – una modifica strutturale del mercato farmaceutico, tale da aver messo in ginocchio già altre multinazionali del settore. In primis l’avvenuta generalizzazione di alcuni farmaci prodotti da Sigma-Tau alla scadenza dei brevetti e soprattutto la riduzione progressiva della spesa sanitaria pubblica, che avrebbe così ridotto i margini di manovra e compresso gli utili. Soprattutto è un campanello d’allarme anche per i 400 ricercatori (in un gruppo che investe il 16% del suo fatturato in ricerca e sviluppo), anche se da Pomezia si affrettano a gettare acqua sul fuoco sostenendo che i dipendenti destinatari del periodo di cassa integrazione verranno concertati con le sigle sindacali e per ora non è dato sapere quali saranno le funzioni aziendali maggiormente interessate dal piano di riorganizzazione.

IL MALESSERE – Sul fronte sindacale serpeggia comunque il malumore. La Rsu interna punta anche il dito contro «gli incarichi e le consulenze esterne elargite dal management del gruppo nell’ipotesi – paventata prima dell’estate – di una quotazione in Borsa». E i rappresentanti sindacali chiamano in causa persino il fondatore Claudio, che di certo non avrebbe approvato questa operazione di ridimensionamento, «in vista di una cessione di azienda». Di certo solo due anni fa – quando al timone c’era ancora lui – Sigma-Tau aveva persino acquisito lo stabilimento di Indianapolis dell’americana Enzon (per oltre 300 milioni di dollari) buttandosi nel segmento dei farmaci anti-tumorali grazie anche a una linea di finanziamento concessa da Intesa Sanpaolo (che era già presente nel capitale di Sigma-Tau). Ora la vocazione all’internazionalizzazione si scontra con una crisi profonda sul mercato domestico.

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