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Confezioni non ottimali dei farmaci: è solo spreco o c’è anche il dolo?

Risultati immagini per confezione farmaciRoma, 3 ottobre – Cure che durano sette giorni e confezioni di farmaci che, invece, prevedono un numero di pillole per dieci giorni di terapia. O, viceversa, antibiotici in associazione che prevedono un ciclo di almeno sette giorni di cura e confezioni che ne contengono un numero sufficiente per  sei soltanto, con l’inevitabile conseguenza di costringere all’acquisto di una seconda scatola. Che inevitabilmente rimarrà in larga parte inutilizzata nell’armadietto dei medicinali (con il rischio di un successivo uso improprio del farmaco) o finirà nel cestino.

Quella delle confezioni ottimali dei farmaci per ciclo di terapia è una vecchia e mai risolta questione alla quale – probabilmente – vengono dedicate meno attenzioni di quante invece ne meriterebbe.

Ad accendere un nuovo riflettore sul tema, nei giorni scorsi, è stato un grande quotidiano, La Stampa di Torino, con un articolo a firma di Paolo Russo che, già nel suo incipit, fornisce le coordinate essenziali del fenomeno: un farmaco su dieci finisce nel cestino perché le scatole contengono più o meno pillole di quelle che servono per completare la terapia. Uno spreco che da solo ci costa 1,6 miliardi l’anno. E che, aggiunto ad altri –  come consulenze d’oro che, servano o meno, costano altri 780 milioni, servizi di mensa e pulizia pagati almeno un miliardo in più di quel che dovrebbero costare, project financing per costruire ospedali che richiedono esborsi equivalenti a quelli della realizzazione dello stesso ospedale, spese legali inutili per procedimenti contro medici e nosocomi che poi finiscono archiviati – porta a uno sperpero di 3,5 miliardi l’anno, secondo quanto emerge da uno studio del sindacato dei medici ospedalieri Anaao-giovani.

Un dato che suona ancora più grave e vergognoso, in un momento in cui nella prossima sessione di bilancio si durerà fatica a difendere i livelli di finanziamento del Fsn 2017, con il rischio che i previsti due miliardi in più che dovrebbero portarlo a 113 miliardi finiscano per essere di meno.

La Stampa, sul tema delle confezioni tutt’altro che ottimali dei farmaci, del quale si discute da tempo senza che però se ne venga a capo, solleva una serie di giustificati interrogativi: Perché non si elimina? È solo spreco o anche dolo? Un farmaco buttato su dieci acquistati conviene anche a qualcuno? Innesta il meccanismo per cui butti gli “avanzi” della prima confezione e compri una seconda confezione intera?”

Il problema delle confezioni ‘sbagliate’ dei farmaci, proprio per la sua (almeno in teoria) facile soluzione, si presenta in effetti come particolarmente odioso: non esiste una sola ragione, almeno tra quelle confessabili, per permettere che a causa di  scatole con un numero di pillole, compresse o fiale “starato” rispetto alle necessità imposte dal ciclo di terapia si sprechi il 10% dei medicinali (la stima è  del prestigioso British Medical Journal).

Le perplessità (e con esse la rabbia) salgono se si pensa a tutte le norme che, negli ultimi dieci anni di leggi e manovre economiche condotte con la scure in mano, sono state varate per spingere l’industria a produrre “confezioni ottimali” di medicinali, realizzate sulla base della durata di una terapia. Norme che – va a sapere perché e per colpa di chi – non hanno evidentemente prodotto gli esiti sperati, almeno a giudicare dagli esempi portati a  La Stampa da vicesegretario nazionale Fimmg  Pierluigi Bartoletti.

Risultati immagini per augmentin“Quasi tutti gli antibiotici sono venduti in confezioni tutt’alto che ottimali” – spiega infatti il dirigente del sindacato dei medici di famiglia. “L’amoxicillina con acido clavulanico, il noto Augmentin, l’antibiotico forse più usato e quello che si da più frequentemente ai bambini,  è commercializzata in blister da 12 compresse, che bastano per 6 giorni di terapia, quando minimo di giorni ne servono sette”. Il risultato, spiega Bartoletti, è che “il paziente deve acquistare una seconda scatola per consumare magari solo due pastiglie, mentre le altre 10 finiscono nell’armadietto”. E da questo poi allo smaltimento rifiuti. O peggio sino a “quando il paziente, avendole sottomano, non decide alla prima occasione di utilizzare le pillole che restano per soli 5 giorni, che non servono a curare ma a creare le famigerate resistenze agli antibiotici da parte dei nuovi super-batteri”.

Altro esempio, la ciprofloxacina, antibiotico anch’esso di largo impiego, venduto in scatole da 5 compresse anziché da sette. Cosa che rende necessario l’acquisto di una seconda confezione che comporta però, automaticamente, lo spreco delle restanti 3 pillole.

“Analogo spreco avviene per gli anti-ipertensivi per i quali le confezioni sono solitamente da 28 compresse” aggiunge Bartoletti. “Troppo poche per la terapia di un cronico, troppe per chi deve solo testare il funzionamento del farmaco, magari per solo 10 o 15 giorni”.

Risultati immagini per augmentinE intanto, di scatola in scatola, se ne vanno in fumo 1,6 miliardi di euro, almeno secondo le risultanze dello studio dei giovani medici dell’Anaao.  Uno spreco che il Ssn davvero non può permettersi. E che, forse, meriterebbe – visto che le norme da sole non sembrano bastare – una campagna di opinione forte e ad alta intensità finalizzata a stroncarlo Campagna che dovrebbero preoccuparsi di promuovere e interpretare, prima di ogni altro, i “dottori della salute” di primo riferimento per i cittadini, ovvero medici e farmacisti.

I quali, per il loro ruolo e la loro funzione, dovrebbero fare di tutto per “proteggere” i loro assistiti e il Ssn tutto da anomalie prive di giustificazione, anche costringendo le istituzioni – con ogni forma lecita di iniziative e  pressioni persuasive – a intervenire per impedire che nel recinto della sanità italiana continuino a trovare spazio comportamenti che a qualcuno, nella loro sostanza, ricordano molto l’opportunismo degli sciacalli. Senza offesa per nessuno, naturalmente. Sciacalli compresi.

RIFday ottobre 03, 2016

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Redazione Fedaisf

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