ROMA – Alla domanda se i biosimilari, ovvero le versioni genetiche dei farmaci biotech, possano essere uguali alla molecola "griffata" cosi come accade per i farmaci equivalenti, 3 oncologi su 10 non sanno rispondere e 2 su 10 pensano, sbagliando, che vi sia identità con la molecola d’origine. E’ il risultato, presentato a Roma durante un convegno tenuto all’Istituto Regina Elena, di un sondaggio effettuato dalla Fondazione Aiom (oncologia medica) su 700 specialisti italiani. Argomento delicato, che riguarda ormai il 40 per cento dei farmaci utilizzati in oncologia: allo scadere dei brevetti, si tenta di riprodurre le molecole biotech ma le copie non sono sempre uguali al modello. «I biosimilari non sono come gli equivalenti – precisa Francesco Cognetti del Regina Elena di Roma – Francia e Spagna hanno proibito la sostituzione automatica di un farmaco biologico con un biosimilare sulla base del fatto che copiare e sintetizzare proteine terapeutiche a partire da materiale vivente non è come copiare l’acido acetilsalicilico: recentemente l’Emea ha negato l’autorizzazione al biosimile dell’interferone alfa 2a». Finora in Europa sono stati approvati, ma solo in alcuni paesi, due biosimilari (somatotropina ed Epo): ma anche le aziende sanitarie italiane potranno ordinare queste molecole? Il Tar, dicembre 2007, dice di no.
Corriere Medico del 05/06/2008 N. 17 29 MAGGIO 2008
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