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Curare non basta

Non c’è solo la povertà a peggiorare la salute e viceversa: in Italia si trascura troppo l’aspetto psico-sociale e si dà eccessivo peso alle statistiche che nascondono le sofferenze. Il medico non può restare a guardare, né piegarsi al sistema perverso che cura più e meglio chi meno ha bisogno. Angelo Sefanini, docente di Medicina delle Comunità, è tra i più impegnati in ambito internazionale in tema di salute e svantaggio socio-economico. Da molti anni cerca di capire in che misura basso posizionamento sociale, scarsa o nulla scolarizzazione e cose simili generino quello stress cronico che, a sua volta, induce patologia. E’ fin troppo noto che lo stress che ne scaturisce induce mutamenti ormonali che provocano modificazioni a livello anatomico. Quello che è nuovo è aver capito chi è sottoposto a questo stress: non i manager, ma i disoccupati che tutti i giorni si devono scontrare per la sopravvivenza. Stefanini ipotizza che il medico dovrebbe avere un ruolo molto attivo e quasi politico del curante. La parola “dottore” viene da “docere” che vuol dire raccontare, divulgare, informare sia i pazienti che i decisori politici sulla propria attività. Al medico di famiglia tocca esercitare il mestiere di “avvocato dei più deboli”, che cerca di accontentare le richieste del paziente. In alcuni Paesi molto poveri come Cuba, Armenia, Costa Rica e Sri Lanka ci si aspetterebbe una speranza di vita molto bassa, che invece è paragonabile a quella dei Paesi ricchi. Infatti in questi luoghi esiste un sistema sanitario capillare, più fondato su dispensari, ambulatori, piccole cliniche nei villaggi che in grossi ospedali di eccellenza in tutte le città. Il risultato è che le questioni sanitarie vengono affrontate e risolte subito, spesso anche senza o con pochissimi farmaci. Prevenzione Medicina Primaria possono dare risposte immediate ai primi problemi che compaiono nella popolazione. Un gruppo di medici organizzati anche con altre figure professionali guadagna sia in qualità della propria vita che in efficacia di intervento. Dagli studi quantitativi bisogna passare a quelli qualitativi, non perché gli uni debbano sostituire gli altri, ma perché i due non possono essere scissi. I medici devono tornare all’ascolto, all’osservazione diretta dei sintomi, al colloquio. E possibilmente integrare il tutto con i numeri.
Inf saluteglobale

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