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Emilia-Romagna. Sanità, l’eredità dei tagli: persi 1.500 posti letto e 1.000 posti di lavoro

La spending review e le liste d’attesa ancora da abbattere: l’eredità di Errani e Lusenti. La spesa farmaceutica in grande calo

BOLOGNA – I posti letto tagliati di 1.500 unità, il personale dipendente calato di quasi mille teste, la spesa sanitaria che si attesta sugli 8 miliardi e 600 milioni, la spesa farmaceutica in grande calo, i tassi di ospedalizzazione che continuano a scendere. Ecco quattro anni di sanità in Emilia-Romagna, tra tagli e spending review, riorganizzazioni e razionalizzazioni della spesa, blocchi parziali del turnover e investimenti in strutture e strumentazione. Sono gli anni della sanità regionale guidati dall’assessore uscente Carlo Lusenti nel dossier sul servizio sanitario regionale, pubblicato la vigilia di Natale, ovvero il giorno dopo che il neo-governatore Stefano Bonaccini ha presentato la sua squadra, dove compare appunto un nuovo assessore alle Politiche per la salute, Sergio Venturi, fino a ieri direttore generale del policlinico Sant’Orsola. «Nonostante il contesto difficile da tutti i punti di vista il servizio sanitario dell’Emilia-Romagna ha tenuto ferma la sua rotta — scrive Lusenti nella sua introduzione al rapporto —,perseguendo con determinazione, sostenibilità e qualità i propri obiettivi di salute».

Ma vediamo qualche numero. Dal 2010 al 2013 i posti letto negli ospedali pubblici sono calati di 1.499. Erano 15.941 nel 2010 (19.606 con i letti privati accreditati), sono 14.442 (19.016) al 31 dicembre 2013, ultimo dato disponibile. Il balzo più grosso è avvenuto negli ospedali delle aziende sanitarie che hanno perso 1.062 letti in quattro anni, mentre tra policlinici e Istituto Rizzoli il calo è stato di 437 letti. Il personale dipendente complessivo è calato di 960 unità in tre anni, da 62.527 a 61.567. Una cura dimagrante frutto della riorganizzazione dell’assistenza e della necessità di rispondere diversamente ai bisogni di assistenza in ospedale. La fotografia dei tagli negli ospedali bolognesi è presto fatta: i nove ospedali dell’Ausl (compresi Maggiore e Bellaria) hanno perso 386 letti in tre anni e 330 unità di personale dipendente, il Sant’Orsola ha fatto a meno di 119 letti e 326 dipendenti, mentre il Rizzoli è calato di 9 letti e di 45 dipendenti.

La spesa sanitaria per l’assistenza in ospedale in questi anni è in realtà leggermente cresciuta come percentuale in un quadro di sostanziale tenuta della spesa complessiva che si è attestata sugli 8,6 miliardi di euro. Tra il 2012 e il 2013 però è calata di 61 milioni, un anno particolare in quanto per la prima volta si è verificata una diminuzione del Fondo sanitario nazionale che ha di conseguenza generato una contrazione della spesa. Il pareggio di bilancio è stato raggiunto grazie al controllo della spesa sanitaria che non ha inciso su livelli e qualità delle prestazioni sanitarie. In questi anni la Regione ha ridotto dell’11% la spesa per farmaci (quasi del 16% quella dei medicinali non ospedalieri), ha investito nella realizzazione delle Case per la salute, passate dalle 42 del 2011 alle 61 del 2013, ha innalzato il numero di persone che partecipano agli screening (decisivi per la prevenzione) ed è ai primi posti in Italia per donazioni e trapianti d’organo. «Non è un caso che la sanità dell’Emilia-Romagna negli ultimi quattro anni abbia ottenuto performance mai raggiunte dalle altre regioni», sottolinea Lusenti, citando la classifica del ministero della Salute sull’adempimento nell’erogazione dei Livelli essenziali di assistenza.

Ma non sono tutte rose e fiori, chiaramente. I tempi d’attesa sono un problema arcinoto della sanità regionale. Attese per le prestazioni di diagnostica ambulatoriale, visite ed esami, che sono nel mirino del nuovo governatore, ma anche di interventi programmati. Se nelle aree cardiologiche e vascolari il livello raggiunto è soddisfacente (angioplastiche coronariche entro 60 giorni nel 94% circa dei casi, ad esempio), non avviene altrettanto nel campo oncologico: interventi chirurgici per patologie neoplastiche dell’utero entro 30 giorni nel 66,5% dei casi, per la mammella nel 73,8% dei casi. C’è ancora da fare, anche se non si parte da zero. «Guardare con fiducia al futuro del nostro sistema sanitario regionale è possibile — conclude Lusenti nel rapporto —. Ma la strada da percorrere non sarà mai la più facile, anzi: sarà sempre piena di ostacoli. Per superarli dovremo fare quello che sappiamo fare molto bene e che abbiamo sempre fatto finora: migliorare, innovando continuamente». Un messaggio che è un’ideale consegna del testimone al nuovo assessore.

Redazione Fedaisf

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