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Emendamento Pensioni anticipate. Un miraggio

Doppia stretta in arrivo sulle pensioni anticipate, con un allungamento dei tempi per ricevere l’assegno e una penalizzazione del riscatto della laurea. Il governo entra a gamba tesa sul capitolo previdenza, introducendo anche il silenzio-assenso sul Tfr per i neoassunti. Le novità spuntano nel corposo amendment da 3,5 miliardi alla manovra con cui l’esecutivo aggiusta in corsa alcune criticità spuntate negli ultimi mesi, dalle agevolazioni Zes e Transizione per le imprese dopo l’esaurimento delle risorse, fino ai fondi per il Ponte dopo l’allungamento dei tempi in seguito alla bocciatura della Corte dei Conti.

Arriva una nuova doppia stretta sulle pensioni anticipate, quelle che consentono di andare in pensione al momento con 42 anni e 10 mesi di contributi per gli uomini, 41 anni e dieci mesi di contributi per le donne. Con l’emendamento presentato dal governo, a partire dal 2032 aumenta la “finestra mobile” che è necessario attendere prima di ricevere la pensione, che sale dai 3 mesi ora previsti, a 4 mesi nel 2032 e poi progressivamente a cinque mesi nell’anno successivo e a 6 mesi dal 2034. Una seconda norma, invece, restringe gli effetti per coloro che hanno riscattato la laurea. Di fatto i mesi riscattati varranno meno: un taglio di sei mesi il primo anno e poi, 12 mesi nel 2032, 18 mesi nel 2033, 24 mesi per chi matura i requisiti nel 2034 e 30 mesi per chi li matura nel 2035.

(Source The sun 24 hours estratto)


Osservatorio previdenza CGIL

L’Osservatorio Previdenza Cgil ha analizzato in dettaglio gli effetti combinati delle misure contenute nel maxi-emendamento, con particolare riferimento all’articolo 33, incrociandole con l’aumento dei requisiti pensionistici legato all’attesa di vita, che il governo ha scelto di non bloccare.

La Legge di bilancio conferma il meccanismo automatico di adeguamento dei requisiti pensionistici alla speranza di vita. – spiega Ezio Cigna, responsabile delle politiche previdenziali della Cgil nazionale – Dopo una sterilizzazione parziale nel 2027 (+1 mese), dal 2028 il sistema torna pienamente operativo”.

Secondo le stime della Ragioneria Generale dello Stato, “questo comporta un aumento progressivo dei requisiti contributivi per la pensione anticipata che, rispetto al 2026, arriva a +11 mesi dal 2037”, sottolinea Cigna. Già così, la pensione anticipata diventa un traguardo sempre più lontano, richiedendo oltre 43 anni di contribuzione.

Il riscatto della laurea

L’intervento più grave riguarda però la penalizzazione del riscatto degli anni di studio. “A partire dal 2031, una quota crescente dei periodi di laurea riscattati non sarà più utile ai fini del diritto alla pensione anticipata, pur continuando a essere integralmente pagata”.

La riduzione è progressiva: 6 mesi nel 2031, 12 mesi nel 2032, 18 mesi nel 2033, fino ad arrivare a 30 mesi esclusi dal 2035. Questo significa che quei mesi dovranno essere recuperati con ulteriore lavoro effettivo.

Si tratta di una misura retroattiva, continua Cigna, “con profili di incostituzionalità, che rompe in modo evidente il principio di affidamento: lo Stato cambia le regole a partita già giocata, penalizzando soprattutto i giovani, chi ha carriere medio-alte con ingresso tardivo nel mercato del lavoro e chi ha investito risorse significative nel riscatto della laurea”.

Note: è molto probabile che la norma sul riscatto della laurea sia rivisto, almeno sulla retroattività in quanto incostituzionale: Costituzione Italiana, articolo 25, la Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, articolo 7 e lo Statuto di Roma istitutivo della Corte penale internazionale, articolo 22 e segg.

FINO A 46 ANNI E 9 MESI DI PERMANENZA FORZATA NEL LAVORO

Incrociando tutti questi elementi – aumento dei requisiti per attesa di vita, allungamento delle finestre e svalutazione del riscatto della laurea – l’Osservatorio Previdenza Cgil ha stimato lo slittamento reale dell’uscita dal lavoro. Il risultato è impressionante: dal 2037, una lavoratrice o un lavoratore che ha riscattato il periodo di studi potrà arrivare a 46 anni e 9 mesi di permanenza forzata nel lavoro o nel sistema previdenziale, a fronte dei 42 anni e 10 mesi previsti nel 2026. Quasi quattro anni in più.

“Altro che flessibilità in uscita – conclude Cigna – si costruisce un sistema sempre più rigido, selettivo e punitivo, che scarica l’equilibrio dei conti pubblici interamente sulle spalle di chi lavora.

“Queste misure non sono neutre né inevitabili. Sono il frutto di una scelta politica precisa, che rinuncia a qualsiasi riforma equa e solidale del sistema previdenzialee preferisce intervenire con penalizzazioni progressive, rinvii e tagli mascherati”, così la segretaria confederale della Cgil Lara Ghiglione.

“Continueremo a contrastare questo impianto, – sottolinea – perché non è accettabile che, dopo una vita di lavoro, il diritto alla pensione venga continuamente spostato in avanti, rendendolo sempre più difficile da raggiungere, soprattutto per giovani, donne e lavoratori con carriere discontinue”.

(Source: Collective)


TFR

Nei nuovi emendamenti alla legge di bilancio 2026  in discussione in Commissione Bilancio al Senato, torna l’ipotesi di rafforzare la previdenza complementare prevedendo un meccanismo di silenzio-assenso per i neoassunti: dal 1° luglio 2026, in mancanza di indicazioni del lavoratore, il TFR maturando verrebbe indirizzato automaticamente al fondo pensione “di riferimento” previsto dal contratto di lavoro (fondo “competente”).

La misura ribalterebbe l’impostazione attuale, in cui l’adesione ai fondi avviene tipicamente tramite scelta esplicita; il nodo principale era quello finanziario e a questo fine si prevede anche l’ampliamento dell’obbligo di versamento al Fondo di tesoreria INPS per le aziende che hanno superato i 50 dipendenti a partire dal 2007

L’obiettivo è quello incentivare l’adesione dei giovani lavoratori, specialmente quelli under 35 con carriere frammentate. La partecipazione complessiva  alla previdenza complementare rimane infatti ancora inferiore alle aspettative, mentre si fanno sempre piu preoccupanti, per la crisi demografica, le prospettive sulle future pensioni INPS

Dal 2007, il sistema produttivo italiano ha generato circa 438 miliardi di euro in Trattamento di Fine Rapporto (TFR).

Di questa somma, il 55,3% (241,9 miliardi) è rimasto accantonato nelle aziende, il 22,5% (98,5 miliardi) è stato destinato al Fondo di Tesoreria dell’INPS e il 22,2% (97,3 miliardi) è stato versato in forme di previdenza complementare. Nel 2023, il sistema ha prodotto 31,3 miliardi di euro di TFR, con 7,8 miliardi, pari al 25%, indirizzati verso la previdenza integrativa. La restante quota si è distribuita tra accantonamenti aziendali (17,3 miliardi) e il Fondo di Tesoreria (6,1 miliardi).

Secondo il rapporto annuale della Covip, nel 2023 le forme di previdenza complementare hanno raccolto 19,2 miliardi di euro, di cui 7,8 miliardi provenienti da quote di TFR e il resto da contributi dei lavoratori e dei datori di lavoro (rispettivamente 5 e 2,9 miliardi).

Questi dati indicano una crescita del 5,2% rispetto al 2022 e riflettono un interesse crescente, ma ancora insufficiente, per le forme di risparmio previdenziale integrativo.

In risposta alla necessità di rafforzare la previdenza complementare, la maggioranza politica sta promuovendo una nuova fase di “silenzio assenso” con un emendamento a firma del sottosegretario Durigon.

(Source: Fisco e Tasse)


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Redazione Fedaiisf

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