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Vertenza ISF Azienda farmaceutica in Cassazione. “Il Tribunale competente è quello dove risiede l’ISF”

L'abitazione dell'informatore scientifico farmaceutico, «se dotata di un computer e di una stampante con rete ‘ADSL’ e adibita a deposito di campioni e di materiale pubblicitario, può qualificarsi come dipendenza aziendale». Le false P. IVA

Competenza e domicilio del lavoratore

LexCED – a cura dell’Avv. Paul Alexander Tedesco – Pubblicato il 12 novembre 2025

Un lavoratore, che si presumeva dipendente di un’azienda farmaceutica, ha avviato una causa presso il tribunale della sua provincia. L’azienda ha contestato la competenza territoriale, ottenendo una prima decisione favorevole che spostava la causa presso la sede legale della società. Il lavoratore ha impugnato tale decisione davanti alla Corte di Cassazione.

La Suprema Corte ha accolto il ricorso, chiarendo che ai fini della determinazione del foro del lavoro, anche l’abitazione del dipendente, se utilizzata stabilmente per l’attività lavorativa (come nel caso di un scientific informant), costituisce ‘dipendenza aziendale’. Di conseguenza, ha dichiarato la competenza del tribunale originariamente adito dal lavoratore.

Foro del lavoro: la competenza si radica nel domicilio del lavoratore

Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ribadisce un principio fondamentale per la determinazione del foro del lavoro, stabilendo che la competenza territoriale può essere radicata presso il domicilio del lavoratore, qualora questo coincida con il luogo di svolgimento della prestazione. Questa decisione ha importanti implicazioni per tutti i lavoratori che operano a distanza dalla sede principale dell’azienda, come gli informatori scientifici del farmaco.

I Fatti di Causa

Un lavoratore ha citato in giudizio un’azienda farmaceutica dinanzi al Tribunale della propria città di residenza, in funzione di giudice del lavoro. La sua domanda principale mirava al riconoscimento di un rapporto di lavoro subordinato, con le conseguenti richieste di differenze retributive e la declaratoria di nullità del licenziamento. In subordine, chiedeva il pagamento di fatture relative a un rapporto di agenzia.

L’azienda convenuta ha eccepito l’incompetenza territoriale del Tribunale adito, sostenendo che la causa dovesse essere trattata dal Tribunale del luogo in cui l’azienda aveva la sua sede principale e dove il contratto era stato stipulato. Il primo giudice ha accolto l’eccezione, dichiarandosi incompetente.

L’Ordinanza Impugnata e il Ricorso in Cassazione

Il Tribunale di primo grado ha basato la sua decisione sul presupposto che, per individuare il giudice competente, si dovesse fare riferimento al luogo dove è sorto il rapporto o alla sede dell’azienda. Non ha ritenuto rilevante il luogo di residenza del lavoratore, nonostante egli svolgesse lì la sua attività.

Contro questa ordinanza, il lavoratore ha proposto un regolamento di competenza dinanzi alla Corte di Cassazione, lamentando la violazione e falsa applicazione dell’art. 413 del codice di procedura civile. Secondo il ricorrente, dalla documentazione emergeva chiaramente che egli prestava la propria opera professionale in via esclusiva e prevalente nella provincia del tribunale adito, che coincideva con il suo territorio di residenza.

Le Motivazioni della Corte di Cassazione sul Foro del Lavoro

La Corte di Cassazione ha ritenuto fondato il ricorso, ribaltando la decisione di primo grado. Gli Ermellini hanno ricordato che, nel rito del lavoro, l’art. 413 c.p.c. prevede tre fori speciali esclusivi e alternativi tra loro:
1. Il luogo in cui è sorto il rapporto.
2. Il luogo in cui si trova l’azienda.
3. Il luogo della ‘dipendenza’ a cui il lavoratore è addetto o prestava la sua attività al momento della fine del rapporto.

La Corte ha sottolineato che l’ordinanza impugnata non aveva adeguatamente considerato quest’ultimo criterio. La giurisprudenza di legittimità ha da tempo enucleato una nozione molto ampia di ‘dipendenza aziendale’, che non coincide necessariamente con un’unità produttiva fisica. Tale concetto deve essere inteso in senso lato, per favorire il radicamento del foro del lavoro nel luogo più vicino alla prestazione lavorativa, facilitando così il reperimento delle prove e rendendo il processo più celere.

Il Domicilio come ‘Dipendenza Aziendale’

La Suprema Corte ha chiarito che l’abitazione privata del lavoratore può coincidere con la ‘dipendenza aziendale’ quando sia dotata di strumenti di supporto all’attività (come computer, campioni di prodotti, materiale pubblicitario). Questo è spesso il caso di figure professionali come gli informatori scientifici del farmaco, che utilizzano la propria abitazione come base logistica per l’organizzazione del lavoro sul territorio.

Inoltre, la Corte ha specificato che grava sul convenuto, che eccepisce l’incompetenza, l’onere di contestare specificamente l’applicabilità di tutti i criteri concorrenti previsti dalla legge. Nel caso di specie, l’azienda non aveva fornito argomentazioni sufficienti per escludere che il domicilio del lavoratore, dove egli svolgeva la sua opera, potesse essere considerato una ‘dipendenza’ idonea a radicare la competenza.

Le Conclusioni

In conclusione, la Corte di Cassazione ha dichiarato la competenza del Tribunale originariamente adito dal lavoratore. Questa ordinanza rafforza la tutela del lavoratore, riconoscendo che il foro del lavoro competente può essere quello della sua residenza, se questa rappresenta il centro nevralgico della sua attività professionale. La decisione consolida un orientamento giurisprudenziale che interpreta le norme processuali in modo funzionale alle moderne modalità di svolgimento del lavoro, sempre più slegate dalla presenza fisica in una sede aziendale tradizionale.

Civile Ord. Sez. L Num. 9350 Anno 2024

Ed

Nella sentenza sopra riportata la sede di lavoro sembra marginale rispetto alla presunta falsa Partita IVA. Occorre pertanto richiamare alcuni aspetti legali.

Le sentenze su false partite IVA confermano la supremazia della sostanza sulla forma, qualificheranno un rapporto come subordinato se sussistono i requisiti previsti dalla legge (durata, fatturato, postazione fissa) e riconosceranno al lavoratore il diritto alle differenze retributive e a un risarcimento. La giurisprudenza più recente rafforza la tutela del lavoratore, ad esempio con sentenze che prevedono la trasformazione anche per prestazioni specializzate, l’applicazione del criterio della postazione condivisa e il risarcimento per danni morali.
Principali aspetti trattati nelle sentenze
    • Supremazia della sostanza sulla forma: le sentenze ribadiscono che ciò che conta è il modo in cui il lavoro si svolge concretamente, indipendentemente dalla qualificazione formale nel contratto.
    • Presunzione di subordinazione: il rapporto viene qualificato come subordinato se ricorrono almeno due delle seguenti condizioni:
        • Collaborazione con lo stesso committente per almeno 8 mesi all’anno per 2 anni consecutivi.
        • Corrispettivo proveniente dallo stesso committente che supera l’80% dei ricavi annui per 2 anni consecutivi.
        • Disponibilità di una postazione fissa presso la sede del committente.
  • Riqualificazione del rapporto: se i criteri di presunzione sono rispettati, il rapporto viene riqualificato come lavoro subordinato, con il diritto del lavoratore a essere assunto come dipendente a tempo indeterminato.
  • Risarcimento del danno: al lavoratore spetta un risarcimento integrale che copre le differenze retributive, senza che si applichi il regime previsto per i contratti a termine, calcolato in base alle effettive perdite subite.

Il lavoratore che si trova in questa situazione può rivolgersi all’Ispettorato del Lavoro o fare ricorso in tribunale. 

Importanza delle sentenze più recenti
  • Sentenza della Cassazione n. 17450/2024: ha rafforzato la posizione del lavoratore, stabilendo che in caso di riqualificazione, ha diritto a un risarcimento integrale delle retribuzioni perse, escludendo l’applicazione del regime indennitario dei contratti a termine.
  • Sentenza della Cassazione n. 9076/2024: ha chiarito che anche una postazione condivisa può far scattare i criteri presuntivi.
  • Sentenza del Tribunale di Milano, Ord. 3/2025: ha riconosciuto il risarcimento per danni morali a un lavoratore con finta partita IVA. 

Civil Cassation ord. Section L No. 10158:2021

Cassazione. Non è agente di commercio l’informatore scientifico del farmaco

The false VAT numbers. Two emblematic sentences


Riportiamo il commento dell’Avv. Pileggi su La Sez. Lavoro della Corte di Cassazione in una Ordinanza (no. 10158 of 16 April 2021) che ha preso in esame il caso di un ISF di Palermo licenziato dalla Essex srl.

Il commento sulle false P.IVA

dell’Avv. Antonio Pileggi

Importantissima sentenza della Suprema Corte: l’ISF non è un agente e può ottenere le tutele del lavoro subordinato anche se non prova la subordinazione

Con una sentenza dello scorso 16 aprile la Cassazione ha ribadito un principio che, per la verità, si era già consolidato negli ultimi trent’anni: l’ISF non è, e non può essere, un agente di commercio, perché non vende farmaci, ma ne illustra ai medici le caratteristiche, e non è pagato con provvigioni calcolate sugli ordini dei farmaci da lui promossi (come nel caso degli agenti di farmacia, che spesso operano nelle stesse zone degli ISF), ma con “provvigioni” calcolate sui dati IMS della zona di riferimento (ma con una parte fissa corrisposta sotto forma di anticipo provvigionale).

Di conseguenza, il contratto di agenzia stipulato con un ISF è un contratto simulato e non ha effetto tra le parti. Ha effetto invece il contratto dissimulato, cioè il contratto che l’azienda farmaceutica ha occultato (spesso e volentieri proprio per eludere le tutele del lavoro subordinato), che è certamente un contratto di lavoro. Già. Ma che tipo di contratto di lavoro? Autonomo o subordinato?

La risposta dipende dalle modalità di svolgimento del rapporto di lavoro.

La nullità del contratto di agenzia simulato non esonera l’ISF dall’onere di provare la subordinazione ai sensi dell’art. 2094 c.c.

Tutto questo la Cassazione lo aveva già detto.

Ma allora quale è la novità della sentenza?

La novità è nelle conseguenze dell’accertamento della simulazione del contratto di agenzia, che comporta, nei casi che ora vedremo, un esonero dell’onere di provare la subordinazione che le sentenze precedenti della Cassazione avevano continuato ad addossare all’ISF (nonostante la nullità del contratto di agenzia per simulazione).

L’ISF pseudo-agente può, infatti, ora chiedere, sulla base del principio espresso dalla sentenza in commento, l’estensione della disciplina del lavoro subordinato ai rapporti di lavoro parasubordinato (coordinati e continuativi di cui all’art. 409, n. 3 c.p.c.) aventi determinate caratteristiche: estensione prevista dapprima dalla disciplina del lavoro a progetto (dal 2003 fino al 2015), e poi, a decorrere dal 2016, dalla disciplina delle collaborazioni eterorganizzate (che ha abrogato e preso il posto della disciplina del lavoro a progetto).

Queste discipline di estensione delle tutele del lavoro subordinato non si applicano ai contratti di agenzia perché sono espressamente previste delle deroghe all’estensione (che cioè la disciplina del lavoro a progetto prima, e quella delle collaborazioni eterorganizzate, dopo, non si applichino ai contratti di agenzia). Ma se il contratto di agenzia è simulato, e non produce effetto tra le parti, la deroga all’estensione delle tutele del lavoro subordinato non opera più.

E così è sufficiente che il rapporto di lavoro sia parasubordinato ed abbia le caratteristiche previste dalla legge (come condizione per l’estensione delle tutele) perché trovi applicazione la disciplina del lavoro subordinato, senza più necessità per l’ISF di provare la subordinazione.

Ed è proprio questa la novità introdotta della sentenza in commento: se il rapporto di lavoro dell’ISF è “travestito” da rapporto di agenzia, una volta spogliato dal travestimento quel rapporto di lavoro, certamente parasubordinato, si considera subordinato ai sensi dell’art. 69, primo comma, D.lgs. n. 276 del 2003, perché non ricondotto e non riconducibile ad uno specifico progetto. Ricordiamo che la disciplina del lavoro a progetto prevedeva che si considerassero come subordinati i rapporti di lavoro parasubordinato non ricondotti e non riconducibili a progetto.

I principi in questione sono stati affermati per la prima volta da una pregevole sentenza del Tribunale di Marsala, poi confermata dalla Corte d’Appello di Palermo ed infine dalla Cassazione, con la sentenza in commento, con riferimento ad ISF del gruppo MSD. Un’altra sentenza del Tribunale di Barcellona Pozzo di Gotto è relativa ad ISF pseudo-agente Dompè, parimenti considerato subordinato ai sensi dell’art. 69, primo comma, D.lgs. n. 276 del 2003.

Ma lo stesso schema di ragionamento potrà farsi (per i rapporti sorti dopo il gennaio 2016) per ottenere l’estensione delle tutele del lavoro subordinato sulla base dell’art. 2, comma 1, D.lgs. n. 81 del 2015, con riferimento a prestazione (quella dell’ISF) che, quantomeno, deve ritenersi eterorganizzata. La legge in questione estende la disciplina del lavoro subordinato ai rapporti di lavoro eterorganizzati, ed è stata applicata ad esempio ai lavoratori delle piattaforme digitali (rider).  L’estensione non vale per i contratti di agenzia. Ma vale se il contratto di agenzia è simulato, come nel caso dell’ISF.

Ovviamente, nulla vieta anzi tutto suggerisce, che l’ISF nella stessa causa chieda anche l’accertamento della subordinazione, ove ne sussistano i requisiti. Ma prima può chiedere l’estensione delle tutele in quanto la prestazione era parasubordinata senza progetto (se in essere già nel 2015) o eterorganizzata, senza che il simulato contratto di agenzia osti all’estensione.

Pharmaceutical companies that abuse the agency contract (some even use for decades and decades exclusively ISF pseudo-agents directed by employed AMs, or use partly ISF employees and partly ISF pseudo-agents who do the same things, or even constitute lines of only ISF pseudo-agents exploited and exposed to constant threat of dismissal), and which often impose on the ISF the periodic mass signing of "grave" conciliations as a condition for continuing to work (conciliations which, however, are never grave, since the worker cannot renounce the future rights deriving from the of the well-established working relationship), dovranno fare i conti ora con una sentenza della Suprema Corte che sembra avere posto un argine all’elusione sistematica delle tutele del lavoro subordinato con riferimento ad ISF considerati di serie B solo perché travestiti da agenti di commercio.


Note

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Source: Vademecum ENASARCO pag. 24

 

Redazione Fedaiisf

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