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Gimbe: “Ssn al bivio, invertire la rotta dei finanziamenti per salvarlo”

III Rapporto, pochi fondi, troppe prestazioni nei Lea, sprechi ed espansione assicurazioni

“Definanziamento progressivo, troppe prestazioni nei nuovi Lea, sprechi e inefficienze, espansione dell’intermediazione assicurativa rappresentano una miscela letale per la sanità pubblica”. A fronte di questa situazione, il nuovo governo si trova di fronte a “un bivio: rilanciare o smantellare il Ssn?“. A fare il punto sullo stato di salute del Servizio sanitario nazionale è la Fondazione Gimbe con il terzo Rapporto sulla sostenibilità del Ssn, presentato oggi nella Sala capitolare del Senato a Roma.

I dati, soprattutto quelli sulla spesa e sul definanziamento del sistema, non lasciano ben sperare. “Ribadiamo che non esiste alcun disegno occulto di smantellamento e privatizzazione del Servizio sanitario nazionale, ma continua a mancare un piano preciso di salvataggio – sottolinea il presidente della Fondazione, Nino Cartabellotta – Nella consapevolezza che la sanità rappresenta sia un considerevole capitolo di spesa pubblica da ottimizzare, sia una leva di sviluppo economico da sostenere, il Rapporto valuta con

una prospettiva di medio termine il tema della sostenibilità del Ssn, ripartendo dal suo obiettivo primario: promuovere, mantenere e recuperare la salute delle persone”.

La corposa analisi si apre con i risultati di una revisione sistematica delle ‘classifiche’ internazionali che valutano le performance dei sistemi sanitari. “Occorre fermare le strumentalizzazioni nel dibattito pubblico e nelle comunicazioni istituzionali – puntualizza Cartabellotta – che decantano prestigiose posizioni del nostro Ssn in classifiche ormai obsolete (secondo posto nella classifica Oms del 2000, con dati 1997), o che mettono in relazione l’aspettativa di vita con la spesa sanitaria pro-capite (terzo posto nella classifica Bloomberg) per cui meno spendiamo più scaliamo la classifica, visto che la longevità dipende soprattutto da altre ragioni”. Vero, però, che la spesa per la sanità pubblica continua a scendere.

Secondo il rapporto, la spesa sanitaria nel 2016 ammonta a 157,613 miliardi di euro, di cui 112,182 mld di spesa pubblica; 45,431 mld di spesa privata, di cui 5,601 mld di intermediata (3,831 miliardi da fondi sanitari, 593 mln da polizze individuali, 1,177 miliardi da altri enti) e ben 39,830 miliardi a carico delle famiglie. “Al di là di rivalutare cifre assolute e composizione percentuale della spesa sanitaria – spiega Cartabellotta – la vera sfida è identificare il ritorno in termini di salute delle risorse investite: le nostre stime preliminari dimostrano che il 19% della spesa pubblica, almeno il 40% di quella out-of-pocket e il 50% di quella intermediata non producono alcun ritorno in termini di salute”, evidenzia l’esperto.

Nel periodo 2013-2018, a fronte di quasi 7 miliardi di euro di aumento nominale del finanziamento, ne sono ‘sopravvissuti’ meno di 6 mld. E negli anni 2015-2018 l’attuazione degli obiettivi di finanza pubblica ha sottratto, rispetto ai livelli programmati, 12,11 miliardi di euro. “Con tale definanziamento progressivo – sottolinea Cartabellotta – l’Italia continua inesorabilmente a perdere terreno nel confronto con gli altri Paesi, con una percentuale di Pil e una spesa pro – capite inferiori alla media Ocse e che si avvicinano sempre di più ai Paesi dell’Europa orientale”. Nessuna luce – secondo Gimbe – si scorge in fondo al tunnel visto che il Def 2018, a fronte di una prevista crescita annua del Pil nominale del 3% nel triennio 2018 – 2020, riduce il rapporto spesa sanitaria/Pil dal 6,6% del 2018 al 6,4% del 2019, al 6,3% nel 2020 e 2021. Il Ssn è “un quarantenne un po’ acciaccato – dice Cartabellotta – con diverse patologie”, come appunto il definanziamento, “che rischiano di comprometterne la prognosi”.

Ammontano a oltre 21 miliardi di euro le risorse per la sanità ‘bruciate’ in sprechi, inefficienze e frodi nel 2017. Nel rapporto vengono aggiornate infatti le stime sull’impatto degli sprechi sulla spesa sanitaria pubblica 2017, ben 21,59 miliardi erosi da sovra-utilizzo di servizi e prestazioni sanitarie inefficaci o inappropriate (6,48 mld), frodi e abusi (4,75 mld), acquisti a costi eccessivi (2,16 mld), sottoutilizzo di servizi e prestazioni efficaci e appropriate (3,24 mld), complessità amministrative (2,37 mld), inadeguato coordinamento dell’assistenza (2,59 mld). La buona notizia è che, rispetto alle stime 2016, sono stati recuperati oltre 1,3 miliardi di euro, grazie ai numerosi interventi messi in atto, evidenzia la Fondazione.

Diverse criticità si rilevano – secondo il Rapporto – nel capitolo Lea, i livelli essenziali di assistenza. Per Cartabellotta, “nell’impossibilità di aumentare il finanziamento pubblico è indispensabile rivalutare complessivamente tutte le prestazioni inserite nei Lea per attuare un ‘consistente sfoltimento’ e mettere fine all’inaccettabile paradosso per cui in Italia convivono il ‘paniere Lea’ più ricco (sulla carta) e un finanziamento pubblico tra i più bassi d’Europa”.

In questo quadro, si è progressivamente rafforzato il ‘secondo pilastro’, la sanità integrativa. “La proposta di affidarsi al ‘secondo pilastro’ per garantire la sostenibilità del Ssn – spiega il presidente – si è progressivamente affermata per l’interazione di vari fattori: in particolare, nelle crepe di una normativa frammentata e incompleta che ha permesso alla sanità integrativa di diventare sostitutiva, si è insinuata una raffinata strategia di marketing alimentata da catastrofici, ma inverosimili, risultati sulla rinuncia alle cure”. Il Rapporto analizza in dettaglio il complesso ecosistema dei ‘terzi paganti’ in sanità, le coperture offerte, l’impatto di fondi sanitari e polizze assicurative sulla spesa sanitaria e anche i potenziali effetti collaterali: dai rischi per la sostenibilità a quelli di privatizzazione, dall’aumento delle diseguaglianze all’incremento della spesa sanitaria, dal sovra-utilizzo di prestazioni sanitarie alla frammentazione dei percorsi assistenziali.

Ecco, dunque, la prognosi. Al 2025, secondo le stime del Rapporto Gimbe, il fabbisogno del Ssn sarà di 220 miliardi. Con un incremento stimato della spesa sanitaria totale nel periodo 2017-2025 di 27 miliardi (9 miliardi di spesa pubblica e 18 mld privata) si arriverebbe nel 2025 a poco più di 184 miliardi. A questi si aggiungerebbero circa 15 miliardi dal recupero graduale di risorse da sprechi e inefficienze. Eppure, interviene Cartabellotta, “per raggiungere il fabbisogno stimato mancherebbero comunque ancora 20,5 miliardi, una cifra che impone scelte politiche ben precise”.

In altri termini, “visto che la soluzione non è sicuramente rappresentata dal ‘secondo pilastro’, senza un consistente rilancio del finanziamento pubblico sarà impossibile mantenere un servizio sanitario pubblico equo e universalistico – conclude – Visto che le azioni del prossimo esecutivo saranno cruciali per il futuro del Ssn, Gimbe monitorerà il programma di Governo per la sanità perché il diritto alla tutela della salute degli italiani è oggi più che mai condizionato da scelte politiche. Se si intende realmente preservare la più grande conquista dei cittadini italiani, oltre ad aumentare il ritorno in termini di salute del denaro investito in sanità, è indispensabile invertire la rotta sul finanziamento pubblico”.


l 5 giugno 2018 la Fondazione GIMBE ha presentato presso la Sala Capitolare del Senato della Repubblica il 3° Rapporto sulla sostenibilità del Servizio Sanitario Nazionale, ribadendo che non esiste alcun disegno occulto di smantellamento e privatizzazione del Servizio Sanitario Nazionale, ma continua a mancare un piano preciso di salvataggio.

Nella consapevolezza che la sanità rappresenta sia un considerevole capitolo di spesa pubblica da ottimizzare, sia una leva di sviluppo economico da sostenere, il Rapporto valuta con una prospettiva di medio termine il tema della sostenibilità del SSN, ripartendo dal suo obiettivo primario: promuovere, mantenere e recuperare la salute delle persone.

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Gimbe – 5 giugno 2018

Considerato che nel report Health at a Glance 2017 l’OCSE non elabora alcuna classifica, in occasione della stesura del presente Rapporto la Fondazione GIMBE ha analizzato performance eposizione dell’Italia per i 76 indicatori il cui numero totale dopo la disaggregazione è di 194.

Per ciascuna delle 9 categorie di valutazione delle performance è stata elaborata una tabella (tabelle 1.2-1.10), dove per ciascun indicatore viene riportata la posizione in classifica dell’Italia,il dato nazionale e la media OCSE; le righe evidenziate in grigio identificano gli indicatori dove laperformance dell’Italia è peggiore rispetto alla media OCSE. Nella elaborazione dei dati, la posizione in classifica dell’Italia è stata assegnata in base all’analisi della direzione dell’indicatore:quando la performance migliora al crescere del valore numerico, l’ordinamento è decrescente; quando la performance migliora al diminuire del valore numerico, l’ordinamento è crescente. Per gli indicatori per i quali la direzione non è interpretabile in maniera univoca, indicati in tabella con un asterisco (*), la classifica è stata sempre elaborata in ordine decrescente. In calce a ciascuna tabella, vengono elencati gli indicatori che non permettono di elaborare una classifica (n.6) e quelli per i quali non è disponibile il dato relativo all’Italia (n. 37); di conseguenza, il numerototale di indicatori inclusi nelle tabelle è di 151.

Redazione Fedaisf

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