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MA QUALI MARGINI?

 

Gli Stati dell’Unione europea sono riuniti in un’organizzazione che studia come porre le basi per una comune politica dei prezzi dei tarmaci  e del controllo delle spese. Il Tharmaceutical Pricing and Reimbursement Information" questo il suo nome, ci consente ora di comparare i margini dei farmacisti di una quindicina di Stati.

Analizziamo i principali
Gli indicatori che determinano i prezzi del farmaco e la ripartizione dei margini all’interno della filiera produttiva e distributiva sono considerati tra le principali leve per il controllo dei costi nel settore farmaceutico e, proprio per questo, sono attentamente studiati dalle autorità sanitarie dei Paesi europei. Lo sono anche in Italia, dove per esempio l’Aifa sta elaborando un nuovo sistema di determinazione del prezzo dei medicinali e dove da tempo si discute sulla necessità di rivedere i margini per la distribuzione, ancora legati al prezzo del prodotto e senza alcun riferimento all’onorario professionale. E’ un tema sicuramente caldo, anche per le conseguenze che avrà sulla stabilità economica della farmacia. Lo è anche a livello comunitario, come peraltro testimonia la presenza del "Pharmaceutical pricing and reimbursement information" (Ppri), un laboratorio creato dalla Commissione europea e dall’Organizzazione mondiale della Sanità proprio per studiare le diverse realtà e offrire così termini di riflessione. I suoi lavori sono al centro di numerosi dibattiti, come risulta anche dallo spazio dedicato dal settimanale francese "Le Moniteur des pharmacies", che propone un confronto tra i diversi margini garantiti alla farmacia nei differenti Paesi. Un articolo dettagliato che, alla fin fine, provoca un’amara riflessione: proporre un modello di riferimento è impossibile, perché ogni nazione va per la sua strada. Spesso poi i sistemi sono così intricati e diversificati da rendere assai difficili i confronti. Proviamo non di meno a districarci in questa selva. All’interno dei 27 Stati membri il farmaco incide mediamente sul 18,6% della spesa sanitaria. Tuttavia si notano profonde differenze tra i Paesi dove la prescrizione è molto regolamentata (Danimarca, Paesi Bassi, ecc.) e dove si applica con impegno una politica di sostituzione (la quota per la farmaceutica qui è inferiore al 10%) rispetto, invece, ai Paesi entrati da poco nella Uè (Bulgaria, Slovacchia, Polonia, Ungheria), dove il farmaco supera, almeno per il momento, la quota del 25% rispetto alla spesa sanitaria globale. In questo scenario la Franeia -precisa "Le Moniteur"- ancora una volta anticipa di molto tutte le altre nazioni per ciò che riguarda il consumo di farmaci pro-capite, che arriva fino a 50 confezioni l’anno per abitante (in testa davanti alla Grecia, numero due con 33). La Francia conferma questa tendenza conservando il primato anche sul numero di ricette pro-capite: 29 all’anno, ovvero 3,5 volte più che in Svezia (in Italia ogni cittadino usufruisce in media di 8,69 ricette). Sarebbe scorretto, però, voler correlare il consumo di farmaci con il sistema d’assicurazione per la malattia adottato. Infatti, se il consumo risulta abbastanza moderato in Scandinavia, in Gran Bretagna e in Manda, Paesi dove la sanità è "affare di Stato", altrettanto non avviene in presenza di un Servizio sanitario nazionale -come nel circuito mediterraneo- che dimostra non avere gli stessi effetti dissuasivi (tant’è vero che in Italia il 75% della spesa farmaceutica è sostenuta dallo Stato). Onorari fìssi o margine decrescente? Per quanto riguarda la determinazione dei prezzi dei farmaci, nella maggioranza dei Paesi europei questa viene regolamentata direttamente dal legislatore. In Italia, in Lettonia e anche in Gran Bretagna, invece, la fissazione de

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