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Si fa presto a dire costa.

Un congresso di farmacoeconomia è una cosa un po’ particolare. Mentre nelle altre riunioni scientifiche si presentano risultati clinici, o anche della ricerca di base, quando arriva in scena la farmacoeconomia i risultati sono già dati per scontati e quello che si valuta è il rapporto tra costo ed efficacia. In breve: che cosa è meglio comprare, per la salute dei cittadini, con i fondi, limitati, che si hanno a disposizione. Non è facile anche perché la valutazione dei risultati dal punto di vista economico comprende per certi aspetti più variabili ancora di quelle di una valutazione di efficacia. Variabili che oltretutto si modificano continuamente. Lo hanno confermato anche i lavori del VI convegno nazionale di Farmacoeconomia svoltosi a Milano il 25-26 giugno. Al di là dell’oggetto dei singoli studi, è emerso proprio un cambiamento del quadro generale. “Quando si valuta l’impiego di farmaci innovativi, bisognerebbe abbandonare la logica finanziaria di chi procede all’acquisto anno per anno e assumere un punto di vista più ampio” ha detto Maria Caterina Cavallo, del CERGAS dell’Università Bocconi di Milano, che ha presentato uno studio osservazionale sul trastuzumab, un farmaco oncologico biologico che ha radicalmente modificato il trattamento del carcinoma mammario metastatico ma sconta un prezzo molto elevato. Come ha spiegato Cavallo, se l’acquisto del farmaco pesa sui bilanci nel momento in cui avviene, i benefici, e quindi la sua efficacia anche sul piano economico, si sviluppano nel tempo.
Un altro aspetto cruciale riguarda la realizzazione stessa degli studi, come ha sottolineato in un’altra relazione, dedicata al confronto tra anastrozolo e tamoxifene, l’economista Carlo Lazzaro, spesso gli studi di efficacia clinica non raccolgono anche gli elementi necessari a calcolare l’utilità che deriva al paziente dall’impiego di un trattamento o di un altro. E poi, ha osservato Lazzaro, sarebbe necessario che si stabilisse in modo più preciso quali sono i limiti entro i quali si ritiene economicamente compatibile un trattamento. Oggi si impiegano universalmente gli anni aggiustati per la qualità della vita (QUALY), si misura cioè la sopravvivenza in condizioni accettabili che garantisce un farmaco. “Senonché” ha detto Lazzaro” sul valore massimo che si può attribuire a un QUALY mantenendo la convenienza economica esiste una variabilità probabilmente troppo ampia. In Italia almeno un gruppo di ricerca sostiene che possa andare da 30 a 60000 euro”. Un intervallo dunque molto ampio.
Giovanni Fattore, docente dell’Istituto di pubblica amministrazione e sanità della Bocconi, ha poi fatto presente un aspetto particolare ma destinato ad assumere un importanza sempre maggiore. A proposito dell’ictus, malattia che colpisce soprattutto gli anziani, ha fatto presente che “inevitabilmente si sottovalutano i costi sociali, perché l’anziano non guadagna, è pensionato, quindi si ritiene che la sua inabilità non corrisponda a una minore produttività. Ma non è così: oggi in Italia gli anziani svolgono attività non retribuite ma spesso fondamentali, come la cura dei bambini, per esempio, o il sostegno ad altri anziani”. E anche questo è un aspetto da considerare in sede di analisi farmacoeconomica. Alla fine, è sempre meno facile dire se una cura costa troppo per quello che dà.
Fonte www.pharmamarketing.it

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