Gli elementi di pregio che il settore del farmaco mette a disposizione del paese sono molti e tutti importanti. Ma urge una considerazione da parte di questi attori “profit” affinché nei loro bilanci, e non ci riferiamo solo a quelli sociali, il benessere equo e sostenibile sia un qualcosa di reale e presente
L‘occupazione del settore ha avuto un balzo in avanti di 3.000 unità. Erano anni che, nonostante un aumento costante del valore della produzione, passato da 23,769 a 27,611 miliardi di euro tra il 2008 e il 2013, il numero dei lavoratori diminuiva.
L’aumento del 2014 riporta le lancette indietro di tre anni (65.000), ma ben lontano dai numeri precedenti e soprattutto dal 2006 quando il numero di personale occupato nel settore farmaceutico sfiorava le 75.000 unità. Ma per le imprese del farmaco questi sono stati anni d’oro anche in borsa.
Pensare, dunque, che lo sforamento (che diamo per certo) del tetto programmato per la spesa farmaceutica possa decretare il licenziamento di 20.000 addetti, circa 1/3 del totale, risulta fuori da ogni logica comprensione.
In questo contesto si inserisce anche il tema dell’investimento del settore in ricerca e sviluppo. Anche in questo caso immaginare una forte ripercussione negativa, deve aprire ad una considerazione. Sempre grazie al documento di ricerca di Farmindustria, si scopre come il numero del personale impegnato in R&D nel nostro paese sia nettamente inferiore rispetto a Germania, Francia e Regno Unito e di poco superiore alla Spagna sebbene con un fatturato quasi doppio.
Inoltre, aspetto non secondario è quello della trasparenza. Il Direttore dell’Aifa denunciava l’impossibilità di conoscere dettagliatamente non solo i costi di R&D, ma anche quelli relativi al marketing ed alla pubblicità chiedendo, inoltre, chiarezza sui potenziali conflitti di interesse sulle Società Scientifiche che raccomandano i farmaci.
Continua su 19 gennaio 2015 – quotidianosanità.it
Massimiliano Abbruzzese
Vicepresidente Associazione Slow Finance
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