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Those who innovate are more competitive and hire more. Ed

I STUDY

Un’indagine condotta su oltre 43 mila imprese dall’Ufficio Studi di Intesa Sanpaolo dimostra che le aziende che negli ultimi 15 anni hanno depositato almeno una domanda di brevetto reggono meglio l’urto della crisi, hanno più redditività, sono più capaci di esportare e creano maggiore occupazione

di Maurizio Di Lucchio

Chi innova, vince. Non è un motto per infondere coraggio al made in Italy ma una realtà certificata da un’indagine svolta dall’Ufficio Studi di Intesa Sanpaolo su oltre 43 mila imprese italiane. Dallo studio, presentato dal capo economista dell’istituto di Ca’ de Sass, Gregorio De Felice, emerge infatti che le 4000 aziende più innovative del campione – ovvero quelle che hanno depositato almeno una domanda di brevetto all’Epo (European Patent Office) dal 1998 al 2012 – sono anche le più competitive del sistema produttivo tricolore, in quanto riescono ad avere maggiore tenuta del fatturato, migliore redditività, più spiccata capacità di esportare e di espandersi all’estero, più elevata propensione ad assumere nuovo personale.

Partiamo dal rapporto tra innovazione e ricavi. Dati alla mano, chi brevetta ottiene risultati più brillanti, o comunque meno negativi di altre imprese che non puntano sulla stessa strategia. Tra il 2008 e il 2013, nei primi cinque anni della Grande Crisi, le imprese senza domanda di brevetto hanno visto un calo di nove punti percentuali del proprio fatturato mentre quelle innovative hanno contenuto i danni limitandosi a un -3%.

Il discorso vale per ogni classe dimensionale – in particolare per le micro-imprese (+3,4% la variazione del fatturato di quelle con brevetto contro il -9,8% di quelle senza: uno scarto di 13,2 punti) – e nella maggior parte dei settori industriali, dalla farmaceutica all’edilizia.

Quanto alla redditività, chi ha prodotto e registrato brevetti ha avuto un ebitda margin dell’8,7% nel 2008 e dell’8,4% nel 2013. Le aziende che non hanno innovato invece si sono bloccate, rispettivamente, a quota 8% e 7,3%.

Più si fa ricerca e sviluppo, più si riesce a creare occupazione in tutti i settori: agricoltura, industria, servizi, public utilities, costruzioni. Come testimoniano i dati di Unioncamere-Excelsior, le imprese che hanno sviluppato nuovi prodotti o servizi nel 2013 prevedono maggiori assunzioni di giovani rispetto a quelle che non hanno spinto sull’innovazione.

Purtroppo, fa notare De Felice, in Italia la propensione a innovare è ancora bassa, visto che nel 2012 le domande di brevetto all’Epo sono state in media 161,2 per ogni milione di occupati contro i 534,6 della Germania, i 287 della Francia e i 225,2 della media Ue.

In ogni caso, la “produttività” dell’attività di ricerca e sviluppo nelle aziende italiane è piuttosto elevata, dal momento che per ogni miliardo di euro speso in R&S, le domande di brevetto sono 382,2, più che nella media Ue (320,9) e in Francia (272,9) e sostanzialmente in linea con i livelli della Germania (421,4).

Ecco le tabelle più significative della ricerca di Intesa Sanpaolo presentate lo scorso 3 ottobre a Napoli durante il XIV Forum Piccola Industria Confindustria “Innovare è l’impresa”

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Ed.: l’aspetto citato da questo articolo non è mai stato molto evidenziato. Le aziende italiane purtroppo hanno puntato sull’abbassamento degli stipendi, sulla delocalizzazione, sui licenziamenti e non sulla ricerca e l’innovazione. Il risultato è una operazione suicida. La popolazione ha sempre meno risorse, consuma e acquista sempre meno e la stessa produzione industriale non può che calare.L’obiettivo evidentemente è fare concorrenza ai cinesi (ma noi non siamo cinesi! … per ora)

Redazione Fedaiisf

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