A far aumentare i costi di produzione delle aziende farmaceutiche operanti in Italia sono principalmente fattori esterni al ciclo produttivo, legati a regolamenti e leggi in continuo cambiamento e spesso in contraddizione tra di loro. È quanto emerge da un’indagine di I-Com (Istituto per la competitività), condotta su 37 aziende farmaceutiche che rappresentano l’80% del mercato italiano e presentata ieri in un convegno al Senato. «Per la totalità delle aziende – spiega Davide Integlia, direttore dell’Area innovazione I-Com – i costi derivati dalle norme che regolano il settore farmaceutico sono aumentati negli ultimi anni. Per il 70% delle aziende è molto gravosa l’adesione alle leggi in materia di negoziazione sulla rimborsabilità del farmaco, immissione in commercio di vecchi e nuovi prodotti, sperimentazioni cliniche, farmacovigilanza, distribuzione, tutela della proprietà intellettuale e aspetti regolatori regionali». In particolare, le norme ritenute più gravose sono quelle sull’immissione in commercio (89%), e per l’84% delle aziende le normative regionali, considerate un contesto regolatorio parallelo a quello statale. Hanno inoltre un pesante impatto le leggi sui rapporti con le autorità pubbliche preposte a controllo e regolazione del mercato farmaceutico, come la farmacovigilanza (74%) e la negoziazione della rimborsabilità (68%). Critiche molto negative sono state espresse anche sulle Autorità del farmaco, nazionali e regionali, dal 79% delle aziende circa la possibilità di avere accesso a informazioni. «La nostra proposta – conclude Integlia – è di avviare un processo di semplificazione a partire dall’interazione tra aziende e autorità nazionali e regionali, e creare degli sportelli regionali dove le aziende possano avere informazioni e spiegazioni sulle norme».
Farmacista33 – 21 luglio 2011
L’esperto: prontuari regionali freno ad accesso farmaci
«I prontuari regionali allungano ulteriormente le procedure per far arrivare un nuovo farmaco a disposizione dei cittadini». A dirlo è Lorenzo Mantovani, docente di Farmaeconomia all’Università Federico II di Napoli, durante il convegno "Better regulation for innovation" svoltosi ieri al Senato. «Spesso a livello regionale – spiega – si fa un taglia e copia della documentazione dell’Aifa e dell’Ema, ma il risultato è che si finisce per mettere in sospeso le procedure per circa 7 mesi. Tanto ci vuole infatti, in media, perché un farmaco venga inserito nel prontuario regionale. Un tempo che potrebbe essere invece speso più utilmente per valutare la trasferibilità dei risultati degli studi clinici ai pazienti reali, e gli esiti a lungo e medio termine come sopravvivenza». E per dimostrare quanto i prontuari regionali incidano anche sui costi, Mantovani richiama alcuni dati: «Lombardia, Friuli Venezia Giulia e la provincia autonoma di Bolzano non hanno il prontuario, e la loro quota di spesa farmaceutica ospedaliera è pari circa al 3,3% del Fondo sanitario regionale. Nelle regioni con i prontuari è invece del 4-6%». In linea generale la regolamentazione regionale di accesso al farmaco crea parecchi problemi in termini di tempo e costi alle aziende, come rileva Davide Integlia di I-Com (Istituto per la competitività). «Lazio, Emilia-Romagna e Toscana sono le ragioni più ostiche da questo punto di vista – precisa – perché sono quelle con le procedure di valutazione più complicate circa le richieste di immissione in commercio dei farmaci ospedalieri, di fascia A e in distribuzione diretta con il prontuario regionale. La regolamentazione diversa tra regione e regione rallenta le aziende e i loro investimenti. Difatti n