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THE ITALIAN INDEPENDENT JOURNALS OF INFORMATION ON DRUGS ARE STILL LITTLE READ BY DOCTORS: WHY?

 
Non basta informare "contro"
 
Nicola Magrini, medico e farmacologo clinico, direttore del Centro per la valutazione dell’efficacia della assistenza sanitaria (CEVEAS).
Pubblicato su Va’ Pensiero n° 353

 
Le riviste italiane indipendenti di informazione sui farmaci sono ancora poco lette dal medico: perché?

Le ragioni sono essenzialmente di due ordini. Per ragioni storiche, in Italia le riviste indipendenti sono nate come riviste di nicchia, di controinformazione e sono entrate poco nel sistema della formazione del Servizio sanitario nazionale. Sono riviste poco leggibili, da consultazione direi, sia in quanto monotematiche sia perché un po’ ripetitive, con una cadenza di produzione non settimanale che mi sembra la cadenza ideale per essere letti e riconosciuti.
Sarebbero forse da ripensare e ricostruire come strumenti di formazione (come in parte noi abbiamo fatto coi nostri "Pacchetti Informativi"); da un lato quindi come supporto alla lettura critica degli studi clinici e dello stato delle conoscenze, dall’altro come revisioni sistematiche da utilizzare da parte di gruppi che fanno linee-guida sui farmaci o per chi lavora nei prontuari ospedalieri. La grande diffusione e il grande successo, anche in Italia, di The Medical Letter resta un esempio isolato, forse legato alla sua sintesi ed essenzialità, che andrebbe maggiormente studiato.

Quindi, poco lette proprio per il modo in cui sono fatte?

Sì, ma non solo. Credo ci sia anche un’altra ragione, più "di sistema": sono riviste prodotte al di fuori dei circuiti istituzionali e la loro diffusione avviene esternamente alla tradizionale rete di distribuzione e di lettura. Chi legge oggi, legge online le principali riviste mediche, all’interno del modello "paga la biblioteca". Per questo, con i nostri "Pacchetti informativi" abbiamo scelto la strada dell’approfondimento tematico: li abbiamo pensati come supporto di un programma di formazione e li abbiamo, quindi, inseriti come strumento cardine di un programma di informazione, audit e feed-back come quello del farmacista facilitatore.
Come CEVEAS, stiamo da tempo pensando a un prodotto che non sia più solo quello della rivista di segnalazione delle novità, a metà strada tra quanto pubblica il New York Times e, più classicamente, gli articoli da non perdere pubblicati sulle principali riviste scientifiche; a un prodotto che inoltre deve essere collocato come strumento di rafforzamento dell’identità della categoria medica e non di informazione "contro".

Il direttore del BMJ ha il sospetto che per avvicinare i lettori occorra lasciare spazio a Editors più giovani e dinamici: che ne pensa?

Ritengo che sia una utile provocazione degli amici del BMJ per farsi venire nuove idee su come raggiungere meglio i lettori, ma credo che non abbia molto senso. Ero, invece, d’accordo su una convinzione simile, sempre del BMJ, sul fatto che i referees dovessero avere meno di 40 anni. Hanno più tempo, più motivazione, meno logiche di potere e di mutui aiuti, anche se il parere delle persone più sagge è bello ed è utile riceverlo. Sono dell’idea che le grandi riviste dovrebbero interrogarsi di più su che cosa abbia senso pubblicare, sia come lavori scientifici sia come news o articoli di analisi e discussione. In altre parole, pensare a come svolgere un ruolo propositivo e di supporto alla ricerca. Nei miei quattro anni al BMJ ho assistito e in parte partecipato a interessanti discussioni – alcune al limite dell&rsqu

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