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L’India potrebbe produrre Sovaldi a 1 dollaro a pillola

Negata alla Gilead la registrazione del brevetto del farmaco anti-epatite C. “Il prezzo attuale di Sovaldi “è inaccessibile per un uso esteso nella maggior parte del mondo” quando “sappiamo da varie società farmaceutiche indiane che è possibile produrre pillole di sofosubuvir da 1 dollari l’una, per un totale di 100 dollari circa per tutti i tre mesi di trattamento necessari”

Barbara Di Chiara – 16 gennaio 201 – PharmaKronos

Le autorità indiane hanno negato all’azienda americana Gilead di registrare il brevetto del superfarmaco anti-epatite C Sovaldi (sofosbuvir), aprendo al strada all’arrivo di versioni ‘copia’ meno costose nel Paese. Il medicinale è stato approvato negli Stati Uniti nel novembre del 2013 e vanta il 97% di guarigioni, ma è anche fra i più cari nuovi prodotti in circolazione: circa 1000 dollari a compressa.

In Italia è stato approvato quest’anno. Gilead ha firmato diversi accordi volontari di licenza con produttori di farmaci generici in India, “ma questi accordi impongono restrizioni, inclusa l’indicazione di quali Paesi possono avere accesso ai medicinali prodotti in versione ‘low cost’, quali pazienti e quali strutture mediche”, fa notare Medici senza frontiere. Il diniego della registrazione del brevetto comporta che le aziende che non hanno ancora firmato accordi del genere con la produttrice di Sovaldi, possono comunque immettere sul mercato la loro versione equivalente, cosa che abbasserà di molto il prezzo del prodotto e allargherà l’accesso alla cura, anche in altri Paesi che potranno importare il generico.

Secondo Andrew Hill, ricercatore del dipartimento di Farmacologia della Liverpool University, al prezzo attuale Sovaldi “è inaccessibile per un uso esteso nella maggior parte del mondo” quando “sappiamo da varie società farmaceutiche indiane che è possibile produrre pillole di sofosubuvir da 1 dollari l’una, per un totale di 100 dollari circa per tutti i tre mesi di trattamento necessari”.

Allargamento dello screening per l’epatite C: una mossa prematura?

Venerdì, 16 Gennaio 2015 – Doctor33

A dispetto di chi raccomanda di aumentare lo screening per l’infezione da epatite C, nessuno studio ha ancora dimostrato se questa strategia porterà più danni o benefici. Questo, almeno, è quanto afferma sul British medical journal un gruppo di ricercatori coordinato da Ronald Koretz, professore emerito presso la Ucla school of medicine. «I medici devono resistere alle pressioni per aumentare lo screening finché non si avranno prove decisive che la terapia antivirale è clinicamente efficace e che i suoi pro superano i contro» spiega l’autore. «Nel 2012, l’avvento di nuove terapie ha portato i Centri statunitensi per il controllo e la prevenzione delle malattie (Cdc) a raccomandare lo screening dell’Hcv in tutti nati tra il 1945 e il 1965, in quanto si stimava che tre quarti delle persone infette fossero in quel gruppo di età» riprende l’autore. In precedenza, i Cdc avevano raccomandato lo screening anche nei soggetti ad alto rischio, per esempio chi fa uso di droghe per via endovenosa, chi ha subito trasfusioni prima del 1992 e gli emodializzati. Lo screening di popolazione è stato consigliato anche dalla US Preventive Services Task Force che lo ha catalogato come raccomandazione di grado B, e incluso ai sensi del Patient Protection and Affordable Care Act, la legge meglio nota come Obamacare che rivoluziona l’accesso alle cure mediche dei cittadini americani. Nel mese di aprile 2014 anche l’Organizzazione mondiale della sanità ha chiesto lo screening allargato, e in ottobre 2013 lo stato di New York ha reso addirittura obbligatorio per gli ospedali di offrirlo a tutti i nati tra il 1945 e il 1965. Secondo l’opinione di molti esperti la diagnosi precoce dell’Hcv offre la possibilità di salvare centinaia di migliaia di vite in tutto il mondo, impedendone la progressione. Ma Koretz e colleghi sostengono che in gran parte dei pazienti con epatite C la malattia epatica non arriverà in fase terminale, rendendo inutile il trattamento. «L’attuale capacità della cura di ridurre l’incidenza di epatite in stadio avanzato resta tuttora priva di significativi riscontri scientifici, e data la mancanza di prove in tal senso, allargare lo screening può essere una mossa prematura» concludono gli autori.

BMJ 2015;350:g7809. doi: 10.1136/bmj.g7809

Redazione Fedaisf

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