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Prepararsi alla perdita

Le cose facili sono già state fatte, restano quelle difficili. E in campo farmaceutico difficile vuol dire anche molto costoso. E mentre le pipe-line delle maggiori aziende non paiono particolarmente ricche, secondo gli analisti Forbes si avvicina un altro picco della perdita di copertura brevettuale delle specialità più redditizie. Per Forbes l’annus horribilis sarà il 2011, durante il quale scadranno i brevetti di farmaci che rappresentano un fatturato annuo di oltre 20 miliardi di dollari, con una diminuzione del fatturato dei prodotti pari a 15 miliardi di dollari. Qualcosa di peggio del 2006, che ha visto l’arrivo di generici per un gruppo di farmaci pari a 16 miliardi di dollari. In definitiva dall’anno prossimo al 2011 dovrebbero scadere 80 brevetti “pesanti”.
Quale strategia seguire? Intanto ce n’è più di una, tutte hanno frecce al loro arco, ma anche inconvenienti più o meno gravi. Visto che la ricerca interna sta diventando sempre più costosa e difficile, una delle possibilità è aumentare l’acquisti di farmaci biologici e simili dalle compagnie biotech. Una mossa logica, ma che anch’essa rischia di diventare meno praticabile, dal momento che alcune delle case più affermate nel settore stanno o comprando brevetti a loro volta da firme più piccole o cercando di commercializzare direttamente le loro scoperte. Genentech, per esempio, ha offerto 650 milioni di dollari per avviare una collaborazione, e condividere i diritti, con la più piccola Inotek, al fine di scoprire nuovi farmaci oncologici.
Un’altra strategia è quella che si delinea dietro la comparsa si alcuni farmaci in associazione fissa. E’ il caso di Merck con Vytorin, associazione di simvastatina ed ezetimibe, sue molecole sinergiche nella riduzione della colesterolemia, ma con meccanismi d’azione differenti. Stessa scelta per Pfizer, che con Caduet ha associato alla sua statina blockbuster (atorvastatina), l’antipertensivo amlodipina. E’ evidente che nessuna delle due molecole è nuovissima, in questo caso, ma l’associazione va a intercettare un sottoinsieme della popolazione (ipertesi con ipercolesterolemia) per i quali il medico potrebbe ritenere interessante ridurre il numero di prescrizioni. Certo resta da vedere se il terzo pagante è disposto a barattare il l’adesione alla terapia (che potrebbe essere facilitata) con un prezzo che potrebbe essere superiore a quello dell’impiego di due generici. Questo ritorno delle associazioni fisse, per un certo periodo demonizzate, almeno in Italia, è stato infatti inaugurato dalla polypill (basata su diversi principi attivi cardiovascolari) che però è costituita da generici.
Certamente, c’è anche la possibilità di opporsi alla marea, e di intraprendere azioni legali a raffica per cercare di estendere la durata del brevetto, strada scelta da Sanofi (come si spiega in altro articolo) e da Pfizer, per esempio.. Ma non è detto che valga la pena, anche sul piano dell’immagine aziendale; probabilmente, come altri hanno fatto, può essere più efficace (e costo-efficace) scendere a patti con i produttori di generici, ma non è detto. La situazione, insomma, è fluida e d’acchito nessuna soluzione sembra particolarmente superiore alle altre. C’è infine un aspetto in parte provocatorio, sollevato da alcuni: si è così certi che tra 5 anni gli attuali blockbuster saranno ancora tali? Certo è una bella dimostrazione di fiducia nell’innovazione, o un forte timore di ulteriori contrazioni della spesa farmaceutica. Di Sveva Prati
Da pharmamarketing

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