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RUOLO CENTRALE DELLE CASE FARMACEUTICHE

Ruolo centrale delle case farmaceutiche

  Spettabile redazione, ho partecipato all’incontro «Chi ha paura del farmaco generico?» aperto a tutta la cittadinanza. Presenti tutti i massimi dirigenti dell’Asl, direttore generale, direttore sanitario, direttore servizio farmaceutico ecc., la direttrice dell’Agenzia nazionale del farmaco (Aifa), una sala gremita all’inverosimile, circa 600 medici, alcuni addetti ai lavori e rari, anzi rarissimi altri. La mia presenza e attenzione al problema è stata dettata non solo da una certa curiosità, ma anche da altri fattori: sono un cittadino attento ai doveri, ma che vanta anche diritti; fin quando mi rimangono la necessaria lucidità e la voglia mi piace interessarmi ai vari problemi sociali e tra questi la sanità. Sono un informatore scientifico del farmaco, uno dei tanti che tutti i giorni ha la fortuna di stabilire i contatti con i medici di medicina generale e specialisti, dialoga con loro, discute, anche animatamente quando serve, insieme si confrontano esperienze e lavori clinici sull’impiego dei farmaci nuovi o meno recenti, e perché no quando c’è il tempo si scambia anche qualche battutina simpatica. Ovvio quindi che il mio interesse a presenziare a questo convegno è stato in duplice veste, mi sono detto che qualcosa da imparare c’è sempre. Al termine del dibattito mi sono posto alcune riflessioni: chi relaziona è persona qualificata nel settore ed esprime il suo giudizio tecnico sociale, economico; chi ascolta (600 medici) sono altrettanto esperti del settore che possono esprimere il loro giudizio; qualunque cittadino poteva nell’occasione democraticamente esprimere il proprio giudizio; allora perché non poterlo fare anch’io? Nessuno me lo ha proibito, solo che, per dirla tutta, il bigliettino questionario che era nelle mani dei presenti lasciava spazio solo a una domanda talmente piccolo! Esprimo il mio plauso, semplice parere, sull’analisi nei termini tecnici e oratoria di facile comprensione, ma nei contenuti e valori più di una perplessità mi è rimasta. È stato più volte ribadito come sia di primaria importanza, anche se non è da trascurare, che il primo vero obiettivo sia la riduzione della spesa in modo rapido ed energico. Come? Prescrivendo, spingendo di più il consumo dei farmaci generici, il prescrivere meno i farmaci così detti di marca o griffati, come si usa dialetticamente oggi, significa liberare risorse da investire poi in farmaci più efficaci ed innovativi con adeguata, ma lo è stata fino ad oggi, rimborsabilità. A prescindere dal fatto che la rimborsabilità dei farmaci viene da legge definita dallo Stato, dal governo che in quel momento è sovrano, sia esso di centrodestra, sia di centrosinistra, mi domando: come mai e perché si debba aspettare un futuro vicino o lontano che sia, nell’attesa di farmaci innovativi, quando questi sono già presenti sul mercato a carico del Servizio sanitario nazionale e per il cittadino mutuabili? I farmaci che non hanno perso il brevetto non possono essere copiati e sono quelli di ricerca più recente con i vantaggi che ognuno può trarre. Ho avuto e forse colto che volutamente si sia passati dalla terminologia «farmaco generico» a «farmaco equivalente». Spero di essermi sbagliato, ma non riscontro altri vantaggi se non quello che il termine piace di più, appare più etico, più professionale, da più immagine, ma non cambia la sostanza. Dalle relazioni e dalle domande poste è più volte emerso qualche scetticismo sulla biodisponibilità raggiunta dal principio attivo, dall’assorbimento del farmaco in termini attivi e terapeutici nel sangue, dalla concentrazione ematica raggiunta nel confronto tra i farmaci generici e farmaci

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