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Sigma Tau: parla una lavoratrice

SIGMA TAU: PARLA UNA LAVORATRICE

 “Preferisco non dire il mio nome, tanto chi vuole riuscirà a conoscermi. E poi parlo a nome di tutti, quindi come mi chiamo non ha importanza. ”. Così ha esordito una dipendente della Sigma Tau nell’illustrare la vicenda che vede centinaia di persone coinvolte nella cassa integrazione. “Quando ieri ho provato a passare il mio badge e non è accaduto nulla di strano sono rimasta interdetta: non sapevo se esserne contenta o no, visto che entrando mi sono messa a piangere. Pensavo a quei colleghi a cui invece il tesserino non funzionava più e sono rimasti fuori, più disperati che mai. Allora sono tornata indietro, prendendo due ore di sciopero ed il resto di permesso. Il mio posto è fuori insieme a loro: uniti si lotta meglio”. “Questa nuova proprietà – ha proseguito la donna – ha fatto una mattanza, cacciando persone senza criterio, passando come un rullo compressore sopra situazioni familiari difficili o malattie, colpendo persone non facilmente ricollocabili o coppie di coniugi. Ma dov’è finita l’umanità che aveva sempre contraddistinto la famiglia Cavazza? Questa azienda è stata fatta anche da noi lavoratori, ma nessuno della nuova proprietà sembra saperlo. Come non si sanno, o non si vogliono sapere, tante altre cose. Mi chiedo infatti se qualcuno, al tavolo delle trattative che si è svolto al Ministero dello Sviluppo Economico, abbia letto le carte che riguardano questa azienda e, qualora le avesse lette, se le ha capite. La Sigma Tau è una corporation, dove il lavoro fatto in questo stabilimento va ad aumentare il fatturato di altre aziende del gruppo: quindi, perché colpirci così duramente ed indiscriminatamente? Se crisi è, deve esserlo per l’intero gruppo, non solo per noi. O forse, se si va a guardare l’insieme, la crisi non è esattamente come la si vuole far vedere? Perché non si sono suddivisi quei numeri in maniera equa e non si è accettata la proposta dei contratti di solidarietà? Io, da persona che di finanza non capisce nulla, la mia idea ce l’ho, e spero che anche qualcun altro, ma di quelli che contano, possa essersela fatta in modo corretto”. Ma il problema, secondo la lavoratrice, riguarda anche altri aspetti. “Forse siamo stati ingenui a credere che l’intervento del Ministero avrebbe potuto risolvere qualcosa, soprattutto se pensiamo a Banca Intesa…”. La lavoratrice ha analizzato poi un altro elemento. “Le lettere che formalizzano la cassa integrazione sono datate 10 gennaio: ma l’incontro con il Ministero era fissato inizialmente per il 13 e poi posticipato al 16. Come facevano ad essere già pronte, con il tavolo istituzionale ancora aperto e con l’accordo a non procedere con atti unilaterali almeno fino all’appuntamento alla Funzione dello Sviluppo Economico? A metà dicembre ci hanno convinto a non fare scioperi né altre azioni di protesta, proprio in virtù del “patto di non belligeranza”: a questo punto si può dedurre che quello che volevano era solo che la produzione andasse avanti senza problemi, in modo anche da poter svuotare tranquillamente i magazzini, fino a metà gennaio, quando ormai sarebbero riusciti ad organizzarsi diversamente… Penso che siamo stati presi in giro molto bene, da professionisti patentati. Ci sono persone ben pagate per tagl

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