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Sostenibilità, la sottile linea rossa nel mercato globale della primary care. N.d.R.

Se si guarda alla spesa farmaceutica territoriale, il ricavo medio per le aziende è di circa 0,20 euro per ogni giorno di cura assicurato in regime di rimborsabilità ai pazienti italiani. Così per l’industria – tra margini ristretti, domanda e costi crescenti – il tema della sostenibilità diventa una sfida cruciale. Dal numero 165 del magazine. *IN COLLABORAZIONE CON RECORDATI

di Enrico Baroncia, General manager Recordati Italia 7 febbraio 2019 – Aboutpharma

Il tema della sostenibilità dell’industria farmaceutica a capitale italiano non può prescindere dalle dinamiche di mercato che hanno caratterizzato le sfide degli ultimi anni. In primis, il drastico calo dei prezzi a seguito della massiccia ondata di scadenze brevettuali che ha decurtato il valore della quasi totalità dei farmaci utilizzati per curare le grandi patologie connesse al progressivo invecchiamento della popolazione.

Prezzi crollati e aumento dei pazienti

Basti pensare che negli ultimi dieci anni il prezzo rimborsato dal Ssn, relativo ai primi 30 farmaci di fascia A nella spesa territoriale è crollato di oltre il 60% mentre i consumi, cioè la domanda di salute degli italiani, sono invece aumentati del 15%. Questo scenario, in cui la riduzione dei prezzi è associata all’aumento dei pazienti trattati, pone l’accento sulla virtuosità della spesa convenzionata (in cui le aziende a capitale italiano detengono una quota di mercato consistente), e cioè il suo rendimento crescente per il Ssn e la comunità. Il 2018 conferma, anzi accentua, questa virtuosità: i trend di spesa sono in ulteriore contrazione (-4,7%) a fronte di un aumento dei consumi in dosi giornaliere (+2,5%) rispetto al 2017.

Domanda crescente, complessità produttiva e ricavi in calo

Esiste però una linea rossa da “attenzionare” per non mettere a rischio la sostenibilità di un sistema che, oltre a garantire gli standard di salute di cui oggi il Ssn è esempio virtuoso nell’ambito dei Paesi Ue, rappresenta anche un asset industriale strategico per il Paese in termini di export, occupazione e produttività. Questa linea di sostenibilità per le aziende farmaceutiche italiane, che sono rimaste connesse al territorio nazionale senza percorrere quei processi di delocalizzazione che hanno caratterizzato il destino di molte imprese, è rappresentata proprio dal delicato rapporto tra domanda crescente, maggiori complessità produttive e ricavi unitari decrescenti. Dunque, per comprendere la questione della sostenibilità di chi opera nella farmaceutica convenzionata, bisogna innanzitutto scomporre il totale della spesa Ssn nel numero di dosi giornaliere erogate ogni anno in regime di rimborsabilità, pari ad oltre 1,1 miliardi di confezioni.

Ricavi marginali

Il risultato di questa equazione dimostra che, al netto degli sconti di legge e dei payback, il ricavo medio per l’industria è inferiore a 20 centesimi per ogni giorno di cura assicurato ai pazienti italiani. In questa prospettiva diventa più facile comprendere come il tema della sostenibilità industriale sia più che mai una sfida per industria ed imprenditori. Perché dietro un ricavo tanto marginale, un’impresa deve sostenere i costi e la complessità di strutture occupazionali importanti (sono circa 20 mila i dipendenti delle aziende a capitale italiano in Italia), gli adeguamenti alle rigorose normative in termini di produzione ed ambiente, i livelli di fiscalità rispetto ad altri mercati extranazionali poiché gli headquarter dell’industria farmaceutica a capitale italiano sono in Italia.

Condivisione

Per questo serve la condivisione di politiche non solo sanitarie ma anche industriali che consentano di superare le criticità produttive e commerciali indotte da minori ricavi unitari e maggiori costi operativi, oltre alla conferma di un quadro normativo stabile che innanzitutto scongiuri il rischio di derive pregiudiziali proprio nei confronti della sostenibilità di questo motore ed orgoglio industriale (cui bisogna includere peraltro le decine di migliaia di operatori della filera distributiva e della produzione in conto terzi italiana) e consenta alle aziende italiane di perseguire lo strategico programma di ingenti investimenti in ricerca e sviluppo e innovazione che rappresenta la loro sfida già nel medio periodo in un mercato globalmente sempre più competitivo.

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N.d.R.: Il Dr. Baroncia traccia lo scenario attuale sulla primary care. Ci corre però l’obbligo di ricordare alcuni fatti storici che hanno portato a questa situazione.

A settembre 2006, in risposta alla Legge 219/06 e alla istituenda Regolamentazione dell’Informazione Scientifica del Farmaco, Farmindustria sponsorizza il convegno, organizzato da About Pharma il 20 settembre dello stesso 2006 a Milano “COME CAMBIA L’INFORMAZIONE SCIENTIFICA DOPO IL TESTO UNICO E IL REGOLAMENTO REGIONALE” che disegnerà il futuro scenario del mercato farmaceutico e il cambiamento da imporre all’Informazione scientifica nei successivi 10 anni. Il Sindacato dormiva o forse troppo preso a studiare la trasformazione in senso commerciale dell’ISF, per poterlo meglio tutelare, non si rendeva conto che in quel congresso c’era la dichiarazione di tutto quello che avrebbero fatto per stravolgere il mercato e licenziare quella enorme massa di ISF, e primo fra tutte la scomparsa o la drastica riduzione della primary care. In quell’anno Sergio Dompè, che considerava gli ISF come ferri del mestiere, da poco Presidente di Farmindustria, dichiara l’eccessiva ridondanza del numero degli ISF e la necessità di ridurlo di almeno 10.000 unità entro il 2010. La realtà sarà drammaticamente peggiore delle dichiarazioni.

In quel convegno del 2006 si diceva chiaramente che con la presenza dei generici non sarebbe più stato conveniente investire in ricerca in quel settore per cui sarebbe stato meglio abbandonarlo considerando anche che il MMG è sempre meno decisore della prescrizione, prevalendo le direttive dell’ASL o la decisione di sostituzione del farmacista, o quasi. La nuova strategia dell’industria farmaceutica doveva puntare su farmaci specialistici o biotecnologici sui quali si potevano ottenere alti profitti e abbassare i costi fissi (così chiamano gli ISF) avendo come obiettivo una platea di medici molto minore e aumentare comunque i fatturati.

Risultato a oggi: 15.000 ISF licenziati, quasi l’80% dei farmaci della primary care fuori brevetto.

Possiamo dire che se la sono cercata? Chi non se l’è cercata sono sicuramente quei 15.000 ISF licenziati

Notizie correlate: Come cambia l’informazione scientifica.20.09.2006 (si veda la relazione Drei)

La solitudine sindacale dell’isf

Le aziende farmaceutiche si autocelebrano enunciando i grandi successi dal 2007 al 2017 per avere garanzie sulla governance. Ma dimenticano di citare i 15.000 ISF licenziati. N.d.R.

Dal 2007 al 2017 la manifattura italiana ha perso il 18% del valore della produzione. Negli stessi anni l’industria farmaceutica è aumentata del +107% (N.d.R.: licenziando 15000 ISF)

 

Redazione Fedaisf

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