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AIFA. I Big Data rivoluzioneranno anche il mondo del farmaco?

di Ivan Cavicchi | 2 maggio 2013 | Il Fatto Economia & Lobby

Recentemente ho avuto occasione di discutere con due contrapposti punti di vista riguardo il profitto in sanità: il primo ne faceva l’apologia il secondo lo condannava in quanto tale come immorale (Quotidiano Sanità26 aprile: Sanità e profitto. E se invece parlassimo di “redditività”? http://www.quotidianosanita.it/studi-e-analisi/articolo.php?articolo_id=14612).

Per me la discussione dovrebbe riguardare la differenza che esiste tra speculazione/non speculazione, intendendo per speculazione una remunerazione sproporzionata e irragionevole sia nei confronti dei costi sostenuti, sia nei confronti dei benefici prodotti, e tenendo conto di quel che in sanità conta di più, sia nei confronti dello stato di bisogno di chi è ammalato. “Speculare” sulle malattie delle persone per me è immorale e questo vale tanto per il profitto dei clinicari lombardi che per il reddito dei grandi professionisti nell’esercizio privato della professione. Per non essere speculativo sia chi prende un profitto, sia chi prende un reddito, dovrebbe essere remunerato in modo ragionevole tenendo conto che “ragionevole” nei confronti di chi ha malattie letali, potrebbe significare anche relativa gratuità. “Relativa” vuol dire che in un mercato fatto da diseguaglianze di reddito si possono calcolare valori remunerativi tali da coprire chi non può con chi può.

Questo vale in particolare pe

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