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Dall’Italia i pioppi mangia-farmaci: depurano le acque reflue

I pioppi sono in grado di assorbire, trasformare, accumulare nella radice sostanze inquinanti di origine farmaceutica

A cura di Filomena Fotia

L’inquinamento da prodotti farmaceutici rappresenta un problema globale a cui la comunità scientifica cerca di trovare soluzioni e oggi si aprono nuove possibilità grazie alle capacità di accumularli e degradarli da parte di alcune piante e, in particolare, del pioppo. Uno studio condotto dall’Istituto di Scienze della Vita della Scuola Superiore Sant’Anna, in collaborazione con Helmholtz Zentrum di Monaco di Baviera, pubblicato sulla rivista internazionale “Science of The Total Environment”, ha dimostrato che il pioppo Populus alba clone Villafranca, già noto per le sue proprietà di accumulare metalli pesanti e sostanze xenobiotiche organiche (sostanze estranee rispetto agli organismi) presenti nei suoli e nelle acque, è anche capace di assorbiretrasformareaccumulare nella radice sostanze inquinanti di origine farmaceutica come il Diclofenac.

Questo principio attivo, alla base di farmaci antinfiammatori non steroidei assai diffusi per trattare – ad esempio – infiammazioni di carattere muscolare, risulta tra quelli spesso presenti nelle acque reflue urbane, come confermano numerosi studi.

Da anni il gruppo di ricerca coordinato da Luca Sebastiani, direttore dell’Istituto di scienze della Vita della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa, studia il ruolo delle specie arboree di interesse agrario nel rimuovere gli inquinanti organici di origine farmaceutica dalle acque e dai suoli. In questo contesto, è nato lo studio oggi pubblicato su “Science of The Total Environment”.

Capire come le piante rispondono agli inquinanti organici xenobiotici – spiega Luca Sebastiani, direttore dell’Istituto di Scienze della Vita della Scuola Superiore Sant’Anna –  ci può aiutare a contrastare l’inquinamento in modo naturale. Allo stesso tempo, ci permette di verificare se questi prodotti danneggiano le colture e, nel caso di specie commestibili, se si accumulano negli organi di cui l’uomo si nutre”.

A questo studio hanno contribuito Erika Carla Pierattini, Alessandra Francini e lo stesso Luca Sebastiani dell’Istituto di Scienze della Vita della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa, in collaborazione con Christian Huber e Peter Schröder del Research Unit Comparative Microbiome Analysis, Helmholtz ZentrumMünchen – Deutsches Forschungszentrumfür Gesundheit und Umwelt (GmbH), Ingolstädter Landstr Germany.

Notizie correlate: Poplar and diclofenac pollution: A focus on physiology, oxidative stress and uptake in plant organs

Redazione Fedaisf

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