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In 20 years, 63,000 pharmacists will be unemployed. The Orders: "The university needs limited numbers"

Ormai nelle farmacie arrivano in maggioranza i generici a prezzi bassissimi con margini di guadagno molto relativi e soprattutto i farmacisti italiani sono tantissimi (circa 92mila), molto più delle farmacie e parafarmacie. Ogni anno si iscrivono all’Ordine dei farmacisti 4.000 neo laureati e il sistema non riesce ad assorbirne più di 1.500

PAOLO RUSSO – 18/03/2016 – LA STAMPA

«Hanno un figlio farmacista… Beati loro!» Nell’immaginario sociale italiano la laurea in farmacia ancora oggi è una sorta di terno al Lotto. Ma forse non è più così, e quel titolo sembra proprio non essere più un biglietto di prima classe per una vita ricca di soddisfazioni.

I farmaci, bene inteso, si vendono sempre ma ormai nelle farmacie arrivano in maggioranza i generici a prezzi bassissimi con margini di guadagno molto relativi e soprattutto i farmacisti italiani sono tantissimi (circa 92mila), molto più delle farmacie e parafarmacie che, nonostante la previsione di nuove aperture dopo il concorso straordinario di qualche anno fa, supereranno di poco la soglia delle 20mila, tra pubbliche e private, alle quali si aggiungono circa 4mila parafarmacie. E lo spettro di un futuro da disoccupati per decine di migliaia di neo laureati è alle porte.

Secondi i calcoli presentati oggi dallo stato maggiore della Federazione nazionale degli Ordini dei farmacisti italiani (Fofi) presieduta da Andrea Mandelli, se non si interverrà presto con correttivi drastici nella programmazione universitaria, nel giro di una ventina d’anni saranno 63mila i laureati in farmacia a spasso.

I conti si fanno presto: ogni anno si iscrivono all’Ordine dei farmacisti 4.000 neo laureati e il sistema (tra farmacie, parafarmacie, ospedali e aziende farmaceutiche) non riesce ad assorbirne più di 1.500. Quindi un saldo negativo di 2.500 laureti l’anno, destinati a restare nel limbo del mercato del lavoro in attesa di un’occupazione che difficilmente potrà essere quella per la quale hanno fatto cinque anni di università.

«Quando si parla di farmacisti, quasi sempre – ha spiegato Mandelli – si pensa solo alla farmacia. Raramente si parla di farmacisti, in quanto tali, indipendentemente che siano proprietari o meno di una farmacia».

AND la stragrande maggioranza dei farmacisti lavora già oggi presso farmacie e parafarmacie solo come collaboratore, oppure lavora in ospedale, nelle Asl o nelle aziende del farmaco con trattamenti economici molto differenziati tra loro e che, nella maggioranza dei casi, non sono certo “privilegiati”. Né dal punto di vista economico (un farmacista collaboratore di farmacia guadagna mediamente circa 1.300 euro al mese) né dal punto di vista delle tutele contrattuali, essendo in crescita il ricorso a forme di lavoro flessibile se non del tutto precarie.

In sostanza essere farmacista oggi non coincide più da tempo con la proprietà di una farmacia e anche questa professione deve ormai far fronte a una crisi di certezze occupazionali e di difficoltà economiche in forte crescita in tutte le parti d’Italia.

Come uscirne? Per la Fofi la prima cosa da fare è introdurre il numero chiuso all’accesso ai corsi di laurea in Farmacia, come già da tempo in vigore per la laurea in Medicina, da stabilire in base alle effettive possibilità di assorbimento dei neo laureati.

Poi i tempi sono maturi per fare della farmacia un polo sanitario multifunzionale. Un vero e proprio presidio della rete extraospedaliera, attivo in molteplici campi di attività dando così spazio e opportunità alle nuove leve della professione. Dal controllo sulla corretta assunzione dei farmaci da parte dei pazienti/clienti, la cosiddetta “aderenza terapeutica” (basti pensare che il 50% dei pazienti non è “aderente” e che il 25% dei ricoveri in ospedale è legato proprio alla cattiva gestione delle terapie farmacologiche), all’attività di screening della popolazione sana a scopo di prevenzione (per esempio per il diabete) in collaborazione con i medici di famiglia. Fino al monitoraggio del paziente cronico e alla gestione di programmi di educazione sanitaria.

Ma non basta. Per tornare ad essere remunerativa, la farmacia, non può più essere pagata dal Servizio sanitario nazionale esclusivamente a percentuale sul prezzo dei farmaci venduti. Secondo la Fofi bisogna remunerare anche l’atto professionale, prevedendo, oltre alla percentuale sulle vendite (che visto l’ingresso massiccio di farmaci a basso costo si sta via via riducendo) anche un compenso per la singola dispensazione del farmaco.

E infine un’ultima richiesta al Governo. «I farmaci innovativi devono tornare ad essere disponibili anche nelle farmacie – spiega mandelli – per venire incontro alle esigenze di continuità terapeutica del cittadino, senza costringerlo ad andare per forza in ospedale a ritirare i medicinali per la cura di malattie molto spesso croniche e che quindi hanno bisogno di una terapia continua nel tempo».

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Redazione Fedaiisf

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