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Farmaci salvavita ad alto costo, per sostenerli serve meno federalismo

Farmaci salvavita ad alto costo, per sostenerli serve meno federalismoAdottare i farmaci biosimilari per risparmiare il 30% sul prezzo di vendita e mandare in fascia C un po’ di farmaci “vecchi” risparmiando un altro 10% sull’attuale spesa sono rimedi in grado di dare respiro a breve termine al budget del servizio sanitario per la farmaceutica, 16 miliardi. «Ma stanno per arrivare farmaci che allungano la sopravvivenza nel tumore al polmone. Qui i malati sono tanti e costi eccezionali sui trattamenti non sono sostenibili; metà delle lettere di pazienti che riceviamo nella nostra associazione contiene la richiesta su come procurare il nuovo trattamento».

Con questa riflessione Carmine Pinto presidente dell’Associazione Italiana di Oncologia Medica sottolinea come sia impossibile nel breve-medio periodo arginare il budget per la spesa farmaceutica con soli risparmi provenienti dal mondo del farmaco. Peraltro ci sono malattie ereditarie e tumori che richiedono trattamenti milionari e che il nostro servizio sanitario (“il migliore del mondo”) vuole continuare a passare, a differenza di altri che oggi mandano i loro pazienti da noi. Il tema di calmierare i prezzi senza abbattere la capacità delle industrie di fare profitti e reinvestirli è stato al centro di una tavola rotonda al Corriere della Sera con Pinto, Giuseppe Remuzzi dell’Istituto Mario Negri e Guido Guidi responsabile di Novartis Europa.

Uno dei rimedi per spendere meglio è essere più selettivi con i nuovi farmaci in entrata, «ma la selezione è già partita – avverte Guidi – siamo passati da una fase in cui si commercializzavano farmaci “me- too”, ad un modello in cui sono accettate solo nuove molecole con profilo innovativo; siccome sviluppare un principio attivo nuovo costa a un’industria 1,2 miliardi di euro, molte molecole commercializzate non rientrano dalle spese; a fronte di più fallimenti la sostenibilità per un’industria sta anche nella possibilità che una molecola che funziona sia premiata».

Guidi plaude all’incentivazione dei generici, da cui derivano risparmi alle sanità pubbliche, e al sistema del payment for results introdotto dall’Agenzia del Farmaco: «Il servizio sanitario paga il medicinale nuovo in funzione dei risultati ottenuti, e l’industria lo ha accettato; ora l’Italia è leader assoluto Ue nell’appropriatezza prescrittiva e di costo». Ma la sua selezione l’industria l’ha subita. E allora? «Ulteriori margini di sconto -dice Guidi -forse sarebbero possibili se non ci fosse il regionalismo che crea diseguaglianze nell’erogazione del diritto alla salute, e costringe a perdere fino a 16 mesi per introdurre un farmaco nel prontuario terapeutico ospedaliero di una regione, mesi di lavoro supplementare per trattare con 20 realtà regionali». Dall’altra parte occorrerebbe ridurre i costi degli studi clinici e gli oncologi Aiom si sono attrezzati costruendo una rete di riferimento di 14 centri, fondamentale nella tenuta dei registri di cura per patologia.

Questi ultimi se fatti bene potrebbero essere chiusi entro tre anni, lasso di tempo in cui può chiarirsi il rapporto costo-efficacia di una nuova terapia. Per Remuzzi ulteriori margini sono ancora recuperabili nella fase di sviluppo dei farmaci: «Ci sono farmaci contro la progressione delle malattie renali che hanno fallito gli studi con perdita complessiva da 1,5 miliardi di euro, perché il disegno sperimentale era sbagliato. Bisogna vedere se questi fallimenti, tutti rimborsati dal Ssn, erano ineluttabili».

Mauro Miserendino

Mercoledì, 01 Aprile 2015 – Doctor33

Redazione Fedaisf

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