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Il successo di un medicinale dipende anche dal suo nome

MILANO – Scommettiamo che non ci avreste mai pensato: il nome del Viagra, la pillola blu dell’amore, suggerisce vigore e virilità ed evoca il getto roboante delle cascate del Niagara. Il suo diretto antagonista, Cialis, rimanda al francese cielo (ciel). Ancora qualche esempio: Lipitor trae vantaggio dalla parola lipidi. E Stilnox, per l’insonnia? Deriva dal tedesco stille nacht che, certo, fa il pari con la nostra canzone «Astro del ciel», ma significa notte silenziosa. La nascita del nome di un farmaco è un processo affascinante, lungo e costoso. Se parliamo di pillole campioni di incasso, le multinazionali sono arrivate a spendere milioni di dollari o di euro per trovare quello giusto. Il suo sviluppo coinvolge professionalità e competenze dei più svariati campi: medico, farmaceutico, giuridico, linguistico, economico e pubblicitario. Molto spesso i nomi sembrano davvero soltanto un’accozzaglia di sillabe impronunciabili e di lettere dal suono enfatico. Oggi basta un programma come Drug-O-Matic sul sito WorldLab.com per crearne di verosimili.

NEL DIZIONARIO – Eppure gli esperti di naming a livello mondiale sostengono che quella dei nomi dei medicinali è ormai una vera e propria «lingua franca». Botox (antirughe), Prozac (antidepressivo) e Viagra addirittura sono entrati di diritto nel dizionario Oxford di inglese, nonché nello Zingarelli della lingua italiana. Ma quanti sono i nomi dei farmaci? Ogni mese, all’Ufficio statunitense del registro e dei marchi (Ustpo) ne vengono archiviati in media mille. Nella sola Unione europea esistono non meno di 663mila marchi registrati. Con sole 26 lettere dell’alfabeto a disposizione e il 35-36 per cento di nomi proposti rigettato da Fda (Agenzia federale del farmaco negli Usa) e il 50 per cento da Ema, l’Agenzia europea del farmaco, la sfida creativa è dirompente. E allora, come nasce un nome? «Prozac, che abbiamo inventato noi, è un esercizio semantico che deriva da un concetto molto semplice – spiega Manfredi Ricca, managing director della sede italiana di Interbrand, uno dei due colossi mondiali del settore del naming -: il "pro" latino dà l’idea di qualcosa che faccio a tuo favore. "Zac" in sé non vuole dire nulla, ma è una sillaba terminale che dà l’idea di velocità e di risoluzione immediata, comunica un’impennata positiva. Il nome deve posizionare il prodotto ed è il suo biglietto da visita. È l’unica cosa di cui non si può davvero fare a meno».

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