
Importazione parallela di farmaci: risparmi per il SSN e contrasto alle carenze
Ma in Italia manca una politica che le promuova. Questo il tema di uno studio a cura di Cefat – Centro di Economia del Farmaco e delle Tecnologie Sanitarie e Università degli Studi di Pavia – presentato in un evento in Senato su iniziativa del Senatore Ignazio Zullo
La Repubblica – 11 giugno 2025
“L’impatto economico e regolatorio delle importazioni parallele di farmaci in Italia: analisi del mercato e prospettive future”, è il tema dello studio a cura di CEFAT – Centro di Economia del Farmaco e delle Tecnologie Sanitarie e Università degli Studi di Pavia presentato in un evento in Senato su iniziativa del Sen. Ignazio Zullo.
L’importazione parallela di medicinali (parallel trade o distribuzione indipendente) concerne quelle procedure autorizzative previste dalla normativa europea che consentono a un farmaco registrato e commercializzato in un Paese dell’Unione Europea (UE) o dello Spazio Economico Europeo (SEE) di essere importato in un altro Paese della UE o del SEE per la vendita diretta alle farmacie o agli enti sanitari, attraverso l’autorizzazione (AIP) rilasciata dall’Autorità competente (in Italia l’AIFA) a condizione che il prodotto importato sia essenzialmente analogo (stessi effetti terapeutici e stessa sicurezza) a un prodotto che ha già ricevuto l’Autorizzazione all’Immissione in Commercio (AIC), nel Paese di destinazione.
Una legittima forma di scambio, resa possibile dal differenziale tra il prezzo di acquisto del medicinale nel Paese di origine (più basso) e il prezzo di vendita nel Paese di destinazione (più elevato).
Nel 2024 il settore europeo dell’importazione parallela ha registrato un fatturato pari a 7,4 miliardi, con risparmi tra i 5-7 miliardi di euro per i servizi sanitari in Europa. Ma in Italia rappresenta una quota ancora esigua e marginale rispetto ad altri Paesi dove è incentivato.
Nel nostro Paese infatti nel 2024, sono stati erogati ai consumatori farmaci da importazione parallela per un valore complessivo di circa 226 milioni di euro, di cui 74 milioni relativi a farmaci di fascia A e 152 milioni a farmaci di fascia C, come ha spiegato, illustrando lo studio, il Prof. Giorgio Lorenzo Colombo, Direttore Scientifico del CEFAT – Centro di Economia del Farmaco e delle Tecnologie Sanitarie, Dipartimento di Scienze del Farmaco, Università degli Studi di Pavia.
Non si sono registrate erogazioni di farmaci destinati all’esclusivo impiego ospedaliero (i cosiddetti farmaci di fascia H). In termini di incidenza sulle vendite complessive in farmacia, si tratta di quote marginali: nel 2023 lo 0,85 per cento complessivo, suddiviso in 0,49 per cento per la fascia A e 1,30 per cento per la fascia C.
L’AIFA, dimostrando consapevolezza sui vantaggi che ne possono derivare, ha introdotto nel 2021 una nuova procedura semplificata per il rilascio delle autorizzazioni, tuttavia ad oggi permangono, nella pratica, tempi lunghi per l’ottenimento dell’autorizzazione.
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Nota:
Esportazione parallela
Il flusso delle esportazioni, indagato nell’ultima parte del Rapporto, riveste particolare interesse per il nostro Paese, poiché l’Italia è da considerare storicamente un Paese con alta capacità produttiva vocato all’esportazione di medicinali, per fattori riconducibili sia ad aspetti economici che strutturali. Nel triennio 2016-2018 risultano esportate 90 milioni di confezioni di farmaci a cui è possibile attribuire un valore di oltre 2,2 miliardi di euro (applicando a tali farmaci il prezzo per il SSN in Italia).
Questo Rapporto, quindi, oltre a cercare di rendere ottimale la fruizione dei dati e di ottimizzare l’integrazione delle informazioni raccolte da diverse fonti disponibili, ambisce a costituire uno strumento utile ad individuare e pianificare, nell’ambito delle politiche sanitarie in essere, eventuali ulteriori aree d’intervento. (Fonte AIFA)
I farmaci di classe A sono esportati soprattutto nei Paesi dell’Unione Europea (71,1%) con un incremento dal 2017 al 2018 del +10,9%, e coprono un valore attribuito dell’87,7%. Una quota inferiore è esportata verso Paesi dell’Europa non UE (13,5%), con un impatto in termini di valore pari all’8,0%.
Anche i farmaci ospedalieri di classe H sono maggiormente esportati in UE (62,2% delle confezioni e 61,2% del valore). La quota esportata verso altri Paesi europei non UE è pari al 26,9% e copre un valore attribuito del 36,7% sul totale.
Infine, per i farmaci di classe C la situazione appare diversa. Sebbene come quota maggiormente esportata prevalga sempre quella verso Paesi UE (37,2%), seguono l’Asia e gli altri Paesi non UE, che ricevono, rispettivamente, una quota pari al 30,2% e al 29,1% dei farmaci. I valori attribuiti ai farmaci di classe C esportati verso l’Asia prevalgono raggiungendo quasi il 50% del totale.
Come emerge dai dati i grossisti sono i principali esportatori, con il 59,9% di confezioni movimentate nel triennio. Quasi il 30% è esportato direttamente dai produttori e il 10,1% dai depositari. Nel 2018 l’attività dei grossisti permane pressoché stabile mentre l’esportazione di confezioni da parte di produttori si incrementa del +47,1%.
Se scendiamo nel dettaglio delle esportazioni, notiamo che la prima molecola esportata per numero di confezioni è la furosemide e la prima in valore è il paracetamolo, farmaci a basso costo ma essenziali nella pratica clinica. I medicinali esportati sono, in molti casi, medicinali essenziali, classificati in fascia A o H, indirizzati in prevalenza verso il mercato dell’Unione Europea. Ad eccezione del pembrolizumab, esportato esclusivamente in Belgio, i medicinali ad alto costo non incidono significativamente.
Il tema dell’esportazione verso i paesi dell’Unione Europea richiama l’ultimo argomento trattato, la problematica delle indisponibilità, un fenomeno complesso sul quale i dati presentati possono fornire spunti per ulteriori riflessioni.
Il commercio parallelo deve bilanciare le legittime aspettative degli operatori con il tema della disponibilità dei medicinali essenziali che, in alcune circostanze, può essere messa a rischio da fenomeni indiscriminati di esportazione. (Fonte AIFA)
Al livello della distribuzione esiste una diversificazione tra categorie di soggetti: grossisti, farmacie e, appunto, rivenditori paralleli, che esportano medicinali da Stati membri in cui sono venduti a minore costo per importarli in quelli dove il prezzo è più elevato. Tale pratica esercita conseguentemente un’influenza significativa sulle dinamiche concorrenziali del settore farmaceutico, potendo favorire, in un’ottica di breve periodo, un abbassamento dei prezzi dei medicinali nei Paesi di importazione quale conseguenza dell’incremento della concorrenza intra-brand tra i prodotti già distribuiti e quelli importati, a beneficio dei pazienti-consumatori e, ancor di più, degli stessi operatori del commercio parallelo che trattengono una larga parte del profitto ottenuto dai differenziali dei prezzi di acquisto e di vendita tra i Paesi membri. Nel lungo periodo, potrebbero tuttavia prodursi ripercussioni negative sulla negoziazione dei prezzi dei farmaci a livello (Fonte: European Papers)
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