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L’estate di Big Pharma: un risiko da 260 miliardi

Fusioni e acquisizioni spingono il settore farmaceutico. Segnale in controtendenza rispetto agli investimenti in ricerca, che continuano a scendere: -14% nell’ultimo anno

GIUSEPPE BOTTERO

TORINO – 18/08/2014 – LA STAMPA Economia

La fiammata di aprile, un luglio di trimestrali record, l’intreccio di trattative che, in questi giorni, ha riacceso i riflettori. Big Pharma sta cambiando pelle, e non ha intenzione di fermarsi. L’ultimo affondo è firmato Roche, che offre 10 miliardi di dollari per acquistare il 40% che ancora non controlla della giapponese Chugai. Nonostante le smentite di rito l’operazione, con cui il colosso svizzero punta a rafforzarsi in Asia, potrebbe essere annunciata in settimana. Se si concretizzerà, farà volare oltre quota 260 miliardi di dollari il valore degli affari conclusi nel corso del 2014 nel settore farmaceutico, bio-tecnologico e medico. Un primato storico, secondo i dati di Mergermarket, il doppio rispetto allo stesso periodo del 2013, ma pure un segnale in controtendenza rispetto agli investimenti in ricerca, che continuano a scendere: -14% nell’ultimo anno. Insomma il risiko – ragionano gli analisti – è soprattutto finanziario: basta guardare i numeri degli Stati Uniti, dove l’S&P Pharmaceuticals Index, l’indice di settore, in un anno ha fatto un balzo del 32,38%.

La stagione delle scalate

Nel giro di tre mesi Roche ha fatto shopping negli Stati Uniti, acquistando Seragon Pharmaceuticals per 1,7 miliardi di dollari, e in Danimarca, dove ha sborsato 450 milioni per Santaris Pharma. L’iper-attivismo degli svizzeri però è poca cosa rispetto alla maxi-Opa scatenata da Pfizer, che in primavera ha messo sul piatto fino a 120 miliardi per la rivale Astrazeneca. Offerta bocciata anche a causa delle resistenze del governo britannico, ma la telenovela non è finita. È invece finita, e malissimo, la scalata ad Allergan (società californiana che produce il botox) tentata da William Ackman, magnate statunitense degli hedge fund. Un’operazione il cui controvalore è stimato in 46 miliardi di dollari che ha fatto scattare le indagini della Sec, l’autorità di Borsa statunitense.

Tra frenate e cambi di passo, l’accordo più rilevante è quello siglato tra il Novartis e la britannica GlaxoSmithKline, che vale 28,5 miliardi di dollari. Nel dettaglio, il big svizzero ha comprato il ramo oncologico di Glaxo per 16 miliardi e gli ha ceduto la propria divisione vaccini per 7,1 miliardi. Tra le due industrie è stata poi creata un’alleanza da 10,9 miliardi di fatturato nei prodotti di largo consumo, dagli antidolorifici Voltaren ed Excedrin ai dentifrici Sensodyne. Dall’intesa restano invece esclusi, per il momento, i vaccini contro l’influenza: dal gruppo svizzero fanno sapere che verrà cercato un compratore diverso «per massimizzarne il valore». Non sbaglia un colpo neppure Bayer, che ha acquistato i farmaci da banco di Merck per 14,2 miliardi di dollari.

Il nodo dei brevetti

Dietro l’ondata di acquisizioni c’è soprattutto la necessità dei gruppi di rafforzarsi per far fronte all’avanzata dei farmaci generici e la raffica di brevetti in scadenza. «E’ meglio essere il leader in un settore specifico, piuttosto che nelle posizioni di rincalzo in diversi ambiti», è il ragionamento di Johan Utterman, svizzero, gestore di Lombard Odier Im.

La via italiana

Al gran ballo delle fusioni partecipa pure l’Italia. Non sempre con il passo giusto. All’inizio di agosto Moody’s ha posto sotto osservazione, per un possibile downgrade, il rating «B1» di Rottapharm, l’azienda dei Rovati che, accantonata l’ipotesi dello sbarco in Borsa, è stata acquistata dagli svedesi di Meda Ab per 2,275 miliardi. C’è parecchia Italia pure dietro il maxi-assegno da 15,3 miliardi staccato dalla statunitense Walgreen per rilevare il 55% di Alliance Boots, guidata da Stefano Pessina. L’ex ingegnere nucleare ha trasformato l’attività farmaceutica della famiglia di Napoli nel colosso Alliance UniChem, che nel 2006 si è «sposato» con l’inglese Boots.

 

Redazione Fedaisf

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