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Si può controllare un informatore scientifico col GPS dell’auto? La Corte Europea per i Diritti dell’Uomo risponde al quesito

Se i dati del Gps sull’auto aziendale vengono considerati per la verifica dei chilometri percorsi, nell’ambito di un controllo delle spese aziendali, senza particolari ingerenze nella vita del dipendente, il datore può utilizzarli per giustificare un licenziamento

Si può controllare un dipendente con il Gps dell’auto?

La legge per tutti – 2 Gennaio 2023 | Autore: Carlos Arija Garcia

Possono essere utilizzati i dati del sistema di geolocalizzazione per giustificare un licenziamento? Quali vincoli per il datore?

Tra i poteri direttivi riconosciuti dalla legge ai datori di lavoro c’è quello di vigilanza, che nasce dalla necessità di verificare il corretto svolgimento delle prestazioni da parte dei dipendenti e di tutelare il patrimonio aziendale. Particolare importanza viene data ai controlli a distanza, materia delicata perché deve essere, comunque, rispettato il diritto alla privacy dei lavoratori. Il datore può utilizzare, a determinate condizioni, gli strumenti dati in dotazione ai dipendenti per lo svolgimento della loro attività al fine di ottenere dati e informazioni riguardanti il loro comportamento. Questo, però, deve accadere solo nel luogo di lavoro? Ad esempio, si può controllare un dipendente con il Gps dell’auto aziendale? E, se attraverso le informazioni ricavate si scopre che il lavoratore non rispetta il contratto, si può attuare un licenziamento?

Come si diceva, la questione è alquanto delicata. Tuttavia, secondo una recente sentenza della Corte europea dei diritti umani, nulla vieta al datore di avviare il procedimento disciplinare che porta alla fine del rapporto di lavoro sulla base dei dati ricavati dal geolocalizzatore dell’auto, se emerge una condotta contraria ai princìpi di correttezza e di buona fede da parte del dipendente. Vediamo.

Fin dove arriva il potere di vigilanza del datore?

Il potere di vigilanza del datore di lavoro è una conseguenza diretta del potere direttivo che gli spetta in quanto titolare dell’impresa. Egli ha la facoltà di controllare, anche a distanza, l’operato dei propri dipendenti al fine di accertarsi sulla loro correttezza nello svolgimento dell’attività affidata.

Gli strumenti utilizzati dal lavoratore per la propria prestazione (pc, tablet, cellulari, ecc.) e quelli di registrazione degli accessi e delle presenze (il classico badge) possono essere liberamente utilizzati dal datore per ottenere dati e informazioni attinenti all’attività lavorativa dei dipendenti, ma solo se:

  • è stata data al lavoratore adeguata informazione circa le modalità d’uso degli strumenti stessi e l’effettuazione dei controlli;
  • è stata rispettata la normativa in tema di privacy;
  • lo strumento utilizzato dal lavoratore per adempiere la prestazione non viene appositamente modificato per controllare il lavoratore.

Per fare l’esempio del Gps dell’auto aziendale, le apparecchiature che utilizzano questo sistema vengono considerate strumenti impiegati dal lavoratore per rendere la propria attività lavorativa se essenziali o funzionali per l’esecuzione dell’attività stessa o se il loro utilizzo è imposto da specifiche disposizioni normative di carattere legislativo o regolamentare (ad esempio: sistemi GPS per il trasporto di portavalori superiore a 1.500.000 euro).

In tali casi, per la loro installazione, non è richiesto alcun accordo sindacale o alcuna autorizzazione da parte dell’Ispettorato territoriale del lavoro. Se, invece, il sistema di geolocalizzazione dei veicoli non è direttamente preordinato all’esecuzione della prestazione, ma utilizzato per rispondere ad esigenze ulteriori di carattere assicurativo, organizzativo, produttivo o per garantire la sicurezza del lavoro, è necessario sia l’accordo sindacale (o in sua assenza l’autorizzazione dell’Ispettorato), sia la garanzia di riservatezza per i dipendenti, come richiesto più volte dal Garante della privacy [Garante privacy provv. n. 138/2017 e n. 247/2017].

In buona sostanza, il datore è libero di utilizzare i dati del Gps dell’auto aziendale senza dire alcunché solo nel caso in cui il sistema sia necessario per lo svolgimento dell’attività del dipendente. Altrimenti, dovrà far riferimento ad un accordo sindacale o ad un’autorizzazione dell’Itl sempre nel rispetto della privacy del lavoratore.

I dati del Gps dell’auto aziendale possono servire per un licenziamento?

Appurato che un datore, in certe circostanze e a determinate condizioni, può controllare a distanza il lavoratore utilizzando gli strumenti messi a disposizione del dipendente per lo svolgimento della sua attività, il controllo con il Gps dell’auto può servire per ricavare i dati che servono per un licenziamento? E queste informazioni possono essere usate in una causa in tribunale?

Secondo la Corte europea dei diritti dell’uomo [Cedu, Corte europea diritti uomo sent. n. 26968/1616], il provvedimento espulsivo deciso dal datore sulla base di dati raccolti da un sistema di geolocalizzazione installato su un’auto aziendale per tracciare i chilometri percorsi è conforme alla Convenzione dei diritti dell’uomo.

Il caso che ha occupato i giudici della Cedu riguardava un informatore scientifico, in forza ad un’azienda farmaceutica, che utilizzava per svolgere la sua attività un veicolo messo a disposizione dal datore. Il dipendente si era opposto all’installazione del Gps perché lo riteneva contrario alle norme sulla privacy, dopodiché, per evitare ogni tipo di controllo, aveva anche manipolato il sistema e rimosso la scheda Gsm dal dispositivo. Da qui, la decisione dell’azienda di licenziarlo. Decisione sulla quale la Corte dei diritti umani si è detta d’accordo.

Intanto, osservano i giudici di Strasburgo nella loro recente sentenza, il controllo con il Gps dell’auto aziendale è legittimo nel momento in cui il dipendente viene informato dell’esistenza del dispositivo. È vero che il sistema può avere qualche incidenza sulla vita privata del lavoratore ma – precisa la Corte – il datore non viola le regole quando informa i dipendenti della necessità di installare il dispositivo per controllare le spese aziendali ed i chilometri percorsi, inclusi quelli che non riguardano strettamente l’attività lavorativa, ed avverte che, nel caso in cui ci fosse un contrasto tra i dati rilevati e quelli comunicati, partirebbe il provvedimento disciplinare.

In conclusione, secondo la Cedu, se i dati del Gps sull’auto aziendale vengono considerati per la verifica dei chilometri percorsi, nell’ambito di un controllo delle spese aziendali, senza particolari ingerenze nella vita del dipendente, il datore può utilizzarli per giustificare un licenziamento quando quelle informazioni dimostrano un uso scorretto dell’auto aziendale o un’attività lavorativa ridotta rispetto a quella richiesta.

Notizie correlate: L’affaire Florindo de Almeida Vasconcelos Gramaxo c. Portugal


N.d.R.: il procedimento oggetto della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo riguarda un informatore scientifico portoghese (delegado de informação médica) che ha fatto ricorso il 9 maggio 2016 contro lo stato Portoghese alla Corte per violazione dell’articolo 34 della Convenzione per la protezione Diritti umani e libertà fondamentali (“la Convenzione”).

L’informatore portoghese ritiene che il trattamento dei dati di geolocalizzazione ottenuti dal GPS e il suo licenziamento sulla base di questi dati abbiano violato il suo diritto al rispetto della sua vita privata ai sensi dell’articolo 8 della Convenzione. Il controllo tramite GPS si estendeva anche ai chilometri percorsi per uso privato. Invocando l’articolo 6 § 1 della Convenzione, sostiene inoltre che il procedimento avviato in sede nazionale contro il suo licenziamento non era equo e che la decisione emessa al termine di tale procedimento violava il principio della certezza del diritto.

La Corte dichiara, con quattro voti contro tre, che non vi è stata violazione dell’articolo 8 della Convenzione.

L’art. 8 della convenzione recita quanto segue nelle sue parti rilevanti nella presente causa:
“1. Ciascuno ha diritto al rispetto della sua vita privata (…). -2. Vi può essere ingerenza di un’autorità pubblica nell’esercizio di questo diritto solo nella misura in cui tale ingerenza è prescritta dalla legge e costituisce una misura che, in una società democratica, è necessaria per la sicurezza nazionale, la sicurezza pubblica, il benessere economico -della patria, la salvaguardia dell’ordine e la prevenzione dei reati, la tutela della salute o della morale, ovvero la tutela dei diritti e delle libertà altrui”

Sostiene inoltre la Corte, con quattro voti contro tre, che non vi è stata violazione dell’articolo 6 § 1 della Convenzione in quanto non c’è stata una mancanza di equità nel procedimento.

In Italia il controllo a distanza è regolato dall’art. 4 dello Statuto dei Lavoratori che dopo la riforma attuata dal Jobs Act di Renzi e Poletti nel 2015 così recita:

1. Gli impianti audiovisivi e gli altri strumenti dai quali derivi anche la possibilità di controllo a distanza dell’attività dei lavoratori possono essere impiegati esclusivamente per esigenze organizzative e produttive, per la sicurezza del lavoro e per la tutela del patrimonio aziendale e possono essere installati previo accordo collettivo stipulato dalla rappresentanza sindacale unitaria o dalle rappresentanze sindacali aziendali. In alternativa, nel caso di imprese con unità produttive ubicate in diverse province della stessa regione ovvero in più regioni, tale accordo può essere stipulato dalle associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale. In mancanza di accordo, gli impianti e gli strumenti di cui al primo periodo possono essere installati previa autorizzazione delle sede territoriale dell’Ispettorato nazionale del lavoro o, in alternativa, nel caso di imprese con unità produttive dislocate negli ambiti di competenza di più sedi territoriali, della sede centrale dell’Ispettorato nazionale del lavoro. I provvedimenti di cui al terzo periodo sono definitivi.

2. La disposizione di cui al comma 1 non si applica agli strumenti utilizzati dal lavoratore per rendere la prestazione lavorativa e agli strumenti di registrazione degli accessi e delle presenze.

3. Le informazioni raccolte ai sensi dei commi 1 e 2 sono utilizzabili a tutti i fini connessi al rapporto di lavoro a condizione che sia data al lavoratore adeguata informazione delle modalità d’uso degli strumenti e di effettuazione dei controlli e nel rispetto di quanto disposto dal decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196 (privacy).

Dalla definizione di strumento di lavoro (comma 2) elaborata, sia l’INL che il Garante privacy (rispettivamente nella circolare 2/2016 e nel provvedimento del 16/03/2017) hanno desunto che i sistemi di geolocalizzazione (es. i satellitari GPS montati su auto aziendali), rappresentano un elemento “aggiunto” agli strumenti di lavoro in quanto non utilizzati in via primaria ed essenziale per l’esecuzione dell’attività lavorativa ma, per rispondere a esigenze ulteriori di carattere assicurativo, organizzativo, produttivo o per garantire la sicurezza del lavoro.Ne consegue che, in tali casi, si applica il comma 1 dell’art. 4 St. lav. e, pertanto, i GPS possono essere installati solo previo accordo stipulato con la rappresentanza sindacale ovvero, in assenza di tale accordo, previa autorizzazione da parte dell’INL.

La portata generale del nuovo art. 4 St. Lav. risulta ora completamente sbilanciata a tutto vantaggio dei datori di lavoro, i quali hanno visto nettamente dilatati i limiti precedentemente imposti ai loro poteri di controllo.

Ed inoltre, non possono nemmeno essere trascurate le numerose problematiche di tipo interpretativo e pratico connesse al testo della nuova disciplina: dalle conseguenze derivanti dall’eliminazione del divieto esplicito, all’individuazione della reale portata del concetto di “tutela del patrimonio aziendale” indicato al comma 1 e collegato alla problematica categoria dei controlli c.d. “difensivi”.

Dall’individuazione dell’ambito applicativo della deroga contenuta all’interno del comma 2, fino ad arrivare all’utilizzabilità generale delle informazioni prevista dal comma 3 ed al suo possibile contrasto con principi costituzionali e penali presenti nel nostro ordinamento. Nonostante siano trascorsi diversi anni dalla riforma del 2015, tali tematiche risultano ancora particolarmente controverse e le soluzioni applicative tutt’altro che a portata di mano.

In seguito alla riforma, anche se richiamata, la tutela della privacy e della riservatezza del lavoratore subordinato è stata ulteriormente compromessa. Alla base di questo evidente peggioramento è possibile individuare il sempre maggiore utilizzo di nuove tecnologie informatiche e digitali in ambito lavorativo, potenzialmente in grado di controllare costantemente l’attività svolta dal lavoratore durante l’orario di lavoro. Si aggiunge inoltre, anche l’atteggiamento sempre più acritico ed accondiscendente del legislatore nei confronti di tali problematiche. Tutto ciò ha permesso ai datori di lavoro di porre in essere controlli sempre più profondi e pericolosi, sollevando questioni di rilievo sia civile, sia penale.

Notizie correlate: APPIMÉDICA – Associação Portuguesa dos Profissionais de Informação Médica

Redazione Fedaisf

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