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USA, I BIG DEI FARMACI VOTANO HILLARY

 Quasi tre milioni di dollari alla campagna dell’ex first lady versati dai suoi nemici giurati di ieri che, questa volta, hanno fiutato la sua conquista della Casa Bianca. Quando era la first lady e il marito Bill le assegnò l’incarico di progettare la riforma sanitaria, le compagnie farmaceutiche e assicurative scatenarono una furibonda e costosissima campagna per farla fallire e ci riuscirono. Ora, Hillary Clinton è il loro candidato alla Casa Bianca preferito, in una campagna elettorale di cui la riforma sanitaria è uno dei punti qualificanti. Sono stati finora 2,7 i milioni di dollari che farmaceutici e assicuratori tradizionali sostenitori dei repubblicani, dai quali si sentono più "protetti" – hanno versato nelle casse della campagna di Hillary e il loro rovesciamento di fronte è per così dire perfezionato dal fatto che subito dopo di lei c’è l’altro candidato democratico con possibilità di ottenere la nomination , Barak Obama con 2,2 milioni, e solo a seguire si piazzano i repubblicani Mitt Romney (1,6 milioni) e Rudolph Giuliani con 1,4 milioni. Al momento questa è la più rilevante novità che questa lunghissima campagna per decidere chi debba subentrare a George Bush abbia prodotto. La prima spiegazione possibile che si sente è che le potenti industrie farmaceutiche e assicurative americane abbiano seriamente "fiutato" la possibilità che i candidati repubblicani nel 2008 si trovino a pagare il prezzo della crescente impopolarità di Bush e che abbiano quindi concluso che è meglio trovarsi, a voto avvenuto esattamente fra un anno, dalla parte del vincitore. «È una misura difensiva», dice infatti Phillip Blando, esperto del settore. «Quella della sanità è stavolta la principale questione di politica interna che il prossimo presidente dovrà affrontare e tutti vogliono sedere al tavolo delle decisioni, quando verranno prese. Questo non vuol dire, naturalmente, che di colpo fra le compagnie farmaceutiche e Hillary Clinton sia sbocciato dell’amore. Alcune delle sue promesse elettorali continuano a non andare giù alle compagnie, come ad esempio quella che lei – se andrà alla Casa Bianca – le obbligherà a offrire un piano di copertura sanitaria a un prezzo ragionevole e valido per chiunque; oppure quella di consentire l’importazione dei farmaci dal Canada, il cui prezzo è molto più basso (attualmente l’importanzione è proibita, ufficialmente perché le autorità sanitarie americane devono prima "esaminare" quei farmaci, come se venissero da un Paese di cui non ci si può fidare); o anche quella di far sì che il Medicare, cioè l’organizzazione federale di assistenza ai pensionati, possa negoziare il prezzo dei farmaci con le compagnie, in modo da sollecitare la concorrenza fra loro, ciò che attualmente non è possibile perché il prezzo dei farmaci è fissato dal governo, che lo ha stabilito con la "collaborazione" delle compagnie medesime. Ma per poco piacevoli che possano essere ai mloro orecchi queste "minacciose" posizioni professate da Hillary Clinton, da Barak Obama e anche dal terzo candidato democratico John Edward, le compagnie hanno preferito fare buon viso a cattivo gioco, giocando tutte le sue carte sulla possibilità che, in quanto suoi "sostenitori", il futuro presidente democratico (se così sarà) accetti comunque di consultarli quando sarà il momento di varare la riforma, sperando di strappare qualche correzione. C’è anche c

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