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Antitrust: “Settore sanitario-farmaceutico il più problematico”. La relazione al Parlamento

Perché si tratta di “ambiti nei quali le distorsioni concorrenziali incidono direttamente sul benessere della collettività” e “sui diritti fondamentali del cittadino”. Focus sul caso Avastin/Lucentis, su mercato degli equivalenti, vendita online di farmaci e sui fondi del Ssn tra i laboratori di analisi e strutture di specialistica ambulatoriale accreditati in Calabria. LA RELAZIONE e LA PRESENTAZIONE DEL PRESIDENTE.

01 LUG – Settore sanitario-farmaceutico e della distribuzione commerciale. Sono questi i settori produttivi più “problematici” e in cui è stata esercitata “con particolare intensità e sistematicità” l’azione dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato nel corso dell’ultimo anno. Lo ha evidenziato il presidente dell’Antitrust, Giovanni Pitruzzella, presentando ieri al Senato la Relazione annuale al Parlamento sull’attività dell’Autorità. Dove si evidenzia come, a preoccupare, nel caso di questi settori, sia il fatto che si tratta di “ambiti nei quali le distorsioni concorrenziali incidono direttamente sul benessere della collettività, sul potere di acquisto da parte della domanda e, nel caso della sanità, anche sul godimento di diritti fondamentali del cittadino”.

A occupare spazio nella relazione dell’Autorità è soprattutto il caso Avastin (Roche) – Lucentis (Novartis), ma la relazione ricorda come un altro caso, sempre in materia farmaceutica, deciso dall’Autorità e che ha trovato recentemente conferma da parte del Consiglio di Stato, sia quello della Pfizer, “in cui la multinazionale del farmaco, sfruttando la complessità della normativa sul brevetto ed instaurando contenziosi meramente strumentali, è riuscita a ritardare l’ingresso nel mercato di farmaci generici alternativi rispetto a quello da lei prodotto e commercializzato, imponendo al Servizio sanitario maggiori esborsi quantificabili in circa 14 milioni di euro”.

 

Si tratta di eventi che, secondo l’Antitrust, “si caratterizzano per l’esistenza di regimi amministrativi complessi che richiedono la cooperazione del soggetto privato. Quest’ultimo può così influenzare le decisioni degli apparati pubblici ricavandone particolari vantaggi competitivi, che sono ancora maggiori se occupa una posizione dominante nel mercato di riferimento. In queste ipotesi l’impresa privata – soprattutto se in posizione dominante – può strumentalizzare a suo vantaggio le procedure amministrative, ottenendo dei benefici che, non essendo basati sul merito, si trasformano in vere e proprie rendite di posizione. Con riguardo a simili ipotesi c’è chi ha prospettato una nuova forma di abuso, definita abuso di procedure amministrative”.

Per questo l’Antitrust si è prefissata l’obiettivo di intensificare la lotta ai possibili cartelli tra aziende, in particolare quelle che partecipano alle procedure ad evidenza pubblica. La strategia si basa sulla collaborazione delle stazioni appaltanti, le quali sono chiamate ad assumere un ruolo di ‘sentinella’ segnalando all’Autorità anomalie tipiche di comportamenti potenzialmente distorsivi della concorrenza.

“Il fenomeno della collusione nelle procedure ad evidenza pubblica non rappresenta una novità nell’esperienza dell’Autorità. La repressione dei cartelli realizzati in sede di gare pubbliche ha sempre costituito infatti, dalla sua nascita ad oggi, terreno di attenzione prioritaria da parte dell’Autorità, che ha svolto in questo delicato settore numerosi procedimenti istruttori, conclusi con l’irrogazione di sanzioni il cui ammontare complessivo supera i 500 milioni di euro. Si tratta di un fenomeno che va combattuto con determinazione in ragione della pluri-offensività che connota tale tipologia di illecito, rivelandosi esso capace di ledere al contempo una pluralità di interessi pubblici: quello generale al dispiegarsi di una effettiva concorrenza tra le imprese; l’interesse pubblico alla trasparenza della gara e al corretto svolgimento della stessa; l’interesse della pubblica amministrazione a ottenere prestazioni di beni o servizi conformi alle proprie esigenze, sia in termini di spesa che di qualità”, si legge nella relazione in cui si ricordano, tra gli altri, “il caso Sanità privata nella Regione Abruzzo in cui l’Autorità intende verificare se quattro società operanti nella sanità privata della Regione Abruzzo abbiano posto in essere un’intesa restrittiva nella partecipazione alle gare per l’affidamento delle cliniche già facenti parte del gruppo Angelini” e, sempre nel settore sanitario, “per le gravi ripercussioni sulla spesa per farmaci sostenuta dai sistemi sanitari regionali”, il caso “dell’istruttoria di recente avviata ARCA/Novartis Farma avente ad oggetto un’ipotesi di collusione realizzata da due società in occasione di gare pubbliche indette per la fornitura di un farmaco essenziale nella cura di gravi patologie tumorali”.

Nella relazione si citano, inoltre, il caso “Fornitura di acido colico, che è volto ad accertare se la societàIndustria Chimica Emiliana Spa. abbia abusato della posizione dominante nella produzione e vendita di un principio attivo alla base di farmaci impiegati per il trattamento di gravi e diffuse malattie epatiche, con pregiudizio per i consumatori intermedi, ovvero le imprese farmaceutiche produttrici di farmaci a base del principio in questione, e di quelli finali”, e “il caso Enervit/Contratti di distribuzione, che mira ad accertare se la società Enervit, attiva nella produzione e commercializzazione di integratori alimentari, abbia posto in essere comportamenti contrari al divieto di intese verticali restrittive nei rapporti con la propria rete di rivenditori e grossisti”. Ma l’Antitrust ricorda anche l’importanza degli interventi realizzati contro la vendita illegale di farmaci online e sottolinea l’attenzione su alcuni servizi professionali, ricordando le tre istruttorie avviate nei confronti dell’Ordine dei Medici Chirurghi e Odontoiatri, del Consiglio Nazionale Forense e dell’Ordine dei Notai del Veneto, tutte per presunta violazione del divieto di intese restrittive della concorrenza; nonché quello delle gare pubbliche.

La sanità e la farmaceutica, insomma, è al centro dell’attenzione dell’Antistrust e, dunque, della Relazione al Parlamento. Ecco, in dettaglio, i focus dedicati ai due settore nella relazione.

Gare per la fornitura di farmaci. Il caso dei farmaci equivalenti e biosimilari

Nel maggio del 2013, l’Autorità ha espresso le proprie considerazioni all’Azienda Ospedaliera Istituti Clinici di Perfezionamento di Milano, all’Azienda Sanitaria Locale di Taranto, al Ministro della salute, al Presidente dell’Agenzia italiana del farmaco e ai Presidenti delle Regioni e delle Province Autonome di Bolzano e Trento, ai sensi dell’art. 22 della l. 287/1990, in merito alle condizioni di accesso al mercato da parte di imprese produttrici di farmaci generici (rectius, equivalenti) o biosimilari. In particolare, l’Autorità, avendo ricevuto una segnalazione in proposito, ha esaminato le clausole previste nella disciplina speciale di due procedure di gare: la gara bandita nel gennaio 2013 dall’Azienda Ospedaliera Istituti Clinici di Perfezionamento di Milano (AOM) in qualità di capofila di altre cinque primarie strutture ospedaliere dell’area milanese; la gara bandita nel marzo 2013 dall’Azienda Sanitaria Locale di Taranto (ASLT) in qualità di capofila di altre cinque primarie strutture sanitarie della Regione Puglia.

In via preliminare, l’Autorità ha evidenziato come, nell’ambito del sistema sanitario vigente, l’approvvigionamento di farmaci a mezzo di procedure di gara è volto all’ottenimento dei maggiori risparmi di spesa possibili sulla base del confronto concorrenziale tra le imprese aspiranti fornitrici, salvo i casi in cui il bene oggetto di fornitura sia coperto da esclusiva commerciale.

A seguito della scadenza dell’esclusiva, nondimeno, il confronto concorrenziale può esplicarsi tra il produttore sino a quel momento esclusivista e i nuovi produttori del farmaco equivalente, il cui prezzo d’immissione sul mercato è inferiore di almeno il 20% rispetto a quello dell’originatore31.

In vista dell’ottenimento del maggior risparmio possibile per le stazioni appaltanti, pertanto, le discipline di gara devono mirare a stimolare la concorrenza di prezzo a partire da quello del farmaco equivalente.

Dall’esame effettuato delle gare sopra citate è emerso che in entrambe, in presenza di una sopravvenuta decadenza di esclusiva durante la fornitura aggiudicata all’impresa esclusivista, era stata prevista la rinegoziazione del prezzo di fornitura nei soli confronti di quest’ultima, ovvero la riparametrazione di tale prezzo a non meglio precisate medie di mercato. In particolare, nel caso della gara bandita dall’AOM, il capitolato speciale d’appalto prevedeva che, subito dopo la cessazione dell’esclusiva commerciale, il prezzo di cessione del farmaco venisse rinegoziato con l’impresa aggiudicataria e che, dopo un anno, lo stesso si assestasse sulla media del mercato registrabile al momento, con ciò escludendo qualsiasi incentivo a riformulare ulteriori ribassi di prezzo per l’impresa risultata a suo tempo aggiudicataria della fornitura. Con riferimento alla gara bandita dall’ASLT, il capitolato tecnico prevedeva che, a seguito di mutamenti delle condizioni di mercato (tra cui la cessazione dell’esclusiva commerciale) nel corso della vigenza contrattuale, la stazione appaltante procedesse a interpellare l’impresa aggiudicataria affinché la stessa formulasse la propria migliore offerta per la continuazione della fornitura.

Al riguardo, l’Autorità ha rilevato che, al fine di stimolare la concorrenza nelle gare per l’acquisto di farmaci e in presenza di una decadenza di esclusiva commerciale in corso di fornitura, sarebbe auspicabile inserire clausole specificamente volte alla riapertura del confronto concorrenziale. Sul punto, si è pertanto evidenziato che: i) in base all’art. 15, comma 3, lettera d), del d.l. 6 luglio 2012, n. 95, convertito con legge 7 agosto 2012, n. 135, gli enti del servizio sanitario nazionale ovvero gli enti territoriali per esso competenti sono tenuti a utilizzare gli strumenti di acquisto e negoziazione telematica messi a disposizione dalla società Consip Spa o dalle centrali di committenza regionali di riferimento, ciò che consente una più efficace aggregazione della domanda ai fini dell’ottenimento di migliori offerte di prezzo; ii) nel caso di ricorso al sistema dinamico dedicato all’acquisto di farmaci reso operativo da Consip Spa, il modello di disciplina speciale a disposizione delle stazioni appaltanti prevede una clausola di risoluzione e recesso di fornitura a seguito della scadenza di tutela brevettuale e immissione in commercio di medicinali equivalenti, cui segue l’esperimento di una nuova procedura “dinamica” con invito a offrire esteso a tutti gli operatori economici in possesso di autorizzazione in commercio per la specifica molecola (cfr. art. 11 del capitolato tecnico-tipo), previo utilizzo del prezzo del nuovo farmaco equivalente – ovvero del prezzo più basso in caso di una pluralità di equivalenti divenuti disponibili sul mercato – come nuova base d’asta.

Più in generale, l’Autorità ha rilevato come nelle procedure di acquisto di farmaci a mezzo di gara o negoziazione privata siano ancora riscontrabili resistenze a mettere direttamente in concorrenza i farmaci biologici originatori con i farmaci biosimilari. A tal proposito, richiamando i principi di illegittimità dell’esclusione di un principio di equivalenza terapeutica tra le due tipologie di farmaci e di piena riconducibilità delle stesse a un unico mercato rilevante del prodotto secondo quanto affermato in una precedente segnalazione, l’Autorità ha altresì posto in rilievo che l’eventuale previsione di esclusive di acquisto di farmaci biologici originatori deve sempre risultare parametrata a criteri oggettivi (es. percentuale di pazienti già in trattamento vs. pazienti c.d. drug naïve) e, per quanto possibile, deve essere sempre assoggettabile a successive revisioni, in vista dello sviluppo di un più ampio confronto concorrenziale con i farmaci biosimilari.

Il caso Avasitn/Lucentis

L’Autorità ha di recente concluso l’istruttoria sul caso Roche-Novartis/Farmaci Avastin e Lucentis dalla quale è emersa un’intesa restrittiva della concorrenza molto grave posta in essere nel mercato dei farmaci per la cura di gravi patologie vascolari della vista, e che ha comportato per il Sistema Sanitario Nazionale un esborso aggiuntivo stimato in oltre 45 milioni di euro nel solo 2012, con possibili maggiori costi futuri fino a oltre 600 milioni di euro l’anno.

Più specificamente, l’Autorità ha accertato che le capogruppo Roche e Novartis, anche attraverso le rispettive filiali italiane, avevano concertato sin dal 2011 una differenziazione artificiosa dei farmaci Avastin e Lucentis, presentando il primo come pericoloso per l’utilizzo oftalmico e condizionando così le scelte di medici e servizi sanitari. Avastin è un prodotto che è stato registrato per la cura del cancro, ma dalla metà degli anni Duemila è stato utilizzato in tutto il mondo anche per la cura di patologie vascolari oculari molto diffuse; Lucentis è un farmaco basato su una molecola in tutto simile a quella di Avastin ma è stato appositamente registrato (da Genentech negli USA e da Novartis nel resto del mondo) per le patologie della vista fino a quel momento curate con Avastin. La differenza di costo per iniezione è significativa: Avastin ha un costo pari al massimo a 81 euro, mentre il costo di Lucentis risulta attualmente pari a circa 900 euro (in precedenza, peraltro, il costo superava i 1.700 euro).

A fronte del rischio che le applicazioni oftalmiche di Avastin, vendute a un prezzo molto inferiore, ostacolassero lo sviluppo commerciale del ben più caro Lucentis, Roche e Novartis avevano posto in essere una complessa strategia collusiva, volta a ingenerare tra i medici curanti e, più in generale il pubblico, timori sulla sicurezza del primo. Tali attività erano proseguite e anzi erano state intensificate quando da una serie sempre maggiore di studi comparativi indipendenti, e pertanto non controllabili dalle imprese, era definitivamente emersa l’equivalenza dei due farmaci. Nel ricostruire il sofisticato disegno collusivo, l’Autorità ha altresì accertato che le condotte delle imprese coinvolte trovavano la loro spiegazione economica nei rapporti tra i gruppi Roche e Novartis: Roche, infatti, aveva interesse ad aumentare le vendite di Lucentis perché attraverso la sua controllata Genentech – che aveva sviluppato entrambi i farmaci – otteneva su di esse rilevanti royalties da Novartis.

Quest’ultima, dal canto suo, oltre a guadagnare dall’incremento delle 2vendite di Lucentis, deteneva una rilevante partecipazione in Roche, superiore al 30%.

Non è stata invece ritenuta responsabile dell’illecito la controllata di Roche, la società californiana Genentech.

L’Autorità, nel valutare la particolare gravità dell’infrazione, ha considerato che le condotte delle imprese erano riconducibili ad un’intesa volta a concordare le rispettive politiche di offerta per limitare quella del prodotto meno costoso, in una logica di ripartizione di mercati. L’intesa tra le imprese, illecita per oggetto, aveva avuto inoltre concreta attuazione con una profonda alterazione dei meccanismi della domanda, limitando la libertà di scelta dei consumatori attraverso il condizionamento del giudizio e della scelta terapeutica dei medici. In ultima analisi, ciò aveva reso particolarmente difficoltoso l’accesso alle cure per i malati di patologie della vista gravi e diffuse, avendo prodotto sicuri effetti sul bilancio economico del sistema sanitario nel suo complesso.

Quanto al contesto delle condotte e all’importanza dei soggetti responsabili, le attività delle imprese avevano avuto esecuzione in un ambito, quello farmaceutico, di per sé caratterizzato da una profonda asimmetria informativa tra produttori e consumatori, sfruttando ai propri fini l’alta complessità tecnica e regolamentare del settore. Ancora, l’Autorità ha considerato anche che i gruppi Roche e Novartis erano primari operatori dell’industria farmaceutica, con quote di mercato congiunte superiori al 90%, aventi capacità operative globali e i cui sofisticati comportamenti avevano interessato prodotti impiegati nel trattamento di gravi patologie (tra le principali cause di cecità a livello mondiale), interessanti un numero molto significativo di pazienti. I prodotti interessati dall’intesa avevano inoltre per lungo tempo goduto di un assoluto vantaggio competitivo nell’ambito dei farmaci incentrati sul meccanismo d’azione anti-VEGF ed erano ancora coperti da esclusive brevettuali, in assenza quindi di pressioni concorrenziali esogene suscettibili di bilanciare in qualche modo il potere di mercato delle imprese.

In considerazione della particolare gravità dell’illecito accertato, l’Autorità ha comminato al gruppo Novartis una sanzione di 92 milioni di euro e al gruppo Roche una sanzione di 90,5 milioni di euro, per un totale di oltre 180 milioni di euro.

Vendita farmaci online

L’Autorità – in stretta collaborazione con AIFA, NAS, MISE e Ministero della Salute – è intervenuta nei confronti di condotte poste in essere dai professionisti Web Pharmacy Rx, Hexpress Ltd e del titolare del sito internet www.anagen.net tese a far ritenere ai cittadini italiani che la vendita di farmaci online in Italia fosse del tutto lecita e sicura (in contrasto con l’art. 23, comma 1, lett. i del Codice del Consumo), anche offrendo servizi di prescrizione medica a distanza (Anagen.net e 121doc.com Vendita di Farmaci online). In realtà, attualmente, in Italia la vendita online di tutti i medicinali non è ammessa (art.122 del R.D. n. 1265/1934) in quanto la legge impone sempre la necessaria intermediazione fisica di un farmacista e, per alcuni farmaci, la previa prescrizione medica. I professionisti hanno, dunque, sfruttato il disallineamento delle normative esistenti nei diversi Stati Membri per offrire ai consumatori italiani farmaci etici, non vendibili tramite contrattazione a distanza.

Nello specifico, a esito del sub procedimento cautelare, l’Autorità ha intimato alla società britannica Hexpress Ltd di sospendere la vendita online di farmaci soggetti a prescrizione medica (c.d. farmaci etici) tramite i siti internet individuati. La sospensiva si è resa necessaria perché la vendita online di farmaci soggetti a prescrizione medica espone un numero potenzialmente crescente di consumatori, indotti ad acquistare farmaci soggetti a prescrizione (principalmente quelli per le disfunzioni sessuali) senza controllo medico, a gravi rischi per la salute. Inoltre, i farmaci inviati ai consumatori italiani riportano un foglietto illustrativo – dove sono riportate tutte le controindicazioni, posologia e effetti collaterali – in lingua inglese, in contrasto con l’obbligo, vigente in Italia, di vendere al pubblico farmaci recanti in allegato un foglietto illustrativo e una confezione in italiano.

La questione della vendita di farmaci online è, in ogni caso, oggetto di attenzione anche da parte del legislatore nazionale. È infatti in discussione il recepimento della Direttiva n. 2011/62/UE che permetterà, nel rispetto di rigorose condizioni, la vendita intracomunitaria online al pubblico dei farmaci non soggetti a prescrizione medica (i cd. farmaci da banco o OTC, over the counter). La Direttiva fa comunque salva la possibilità degli Stati membri di prevedere limitazioni all’acquisto online per i farmaci c.d. etici.

Regione Calabria – Sistema di ripartizione dei fondi del Ssn tra i laboratori di analisi e strutture di specialistica ambulatoriale accreditati

Nel febbraio del 2013, l’Autorità ha espresso al Presidente della Giunta Regionale della Calabria le proprie considerazioni, ai sensi dell’art. 21 della l. 287/1990, in relazione al sistema adottato dalla Regione Calabria per la ripartizione dei fondi del Sistema sanitario regionale tra i laboratori di analisi e le strutture di specialistica ambulatoriale accreditati.

Nell’ambito del Piano di rientro dai disavanzi del settore sanitario e nel decreto del Presidente della Giunta Regionale n. 188 del 14 dicembre 2012, la Regione Calabria ha definito i “Criteri e percorsi per la definizione dei budget 2012 e 2013 per la specialistica ambulatoriale e di laboratorio”, in base ai quali l’assegnazione dei fondi pubblici alle strutture private convenzionate avviene in funzione dei fatturati realizzati dalle singole strutture negli anni immediatamente precedenti a quello di riferimento – 2011 e primo semestre 2012 –, basandosi quindi sul criterio della “spesa storica”.

Sul punto, l’Autorità, richiamando una precedente segnalazione e alcune pronunce dei giudici amministrativi, ha evidenziato come tale sistema cristallizzi le posizioni degli operatori preesistenti sul mercato, precludendo un adeguato sviluppo delle strutture maggiormente efficienti.

Ciò in quanto il criterio della spesa storica attribuisce a ciascuna struttura privata accreditata sostanzialmente lo stesso budget dell’esercizio precedente, con la conseguenza che le strutture più efficienti non hanno modo di far valere, ai fini della copertura della spesa, i migliori risultati raggiunti sia in termini di contenimento dei costi che di soddisfacimento della domanda.

Inoltre, l’allocazione del budget sulla base della spesa storica, ostacola l’accesso sul mercato anche di nuovi soggetti imprenditoriali, che a parità di capacità tecnico professionale vengono, in tal modo, inevitabilmente pregiudicati.

L’Autorità ha pertanto auspicato che, ai fini della tutela della concorrenza nel settore in esame, il criterio della spesa storica venga sostituto da criteri ispirati a principi di non discriminazione, alla valorizzazione del livello di efficienza della singola struttura nonché all’effettivo soddisfacimento delle esigenze della domanda, quali ad esempio la dislocazione territoriale, le potenzialità di erogazione con riferimento alla dotazione tecnologica, le unità di personale qualificato, le modalità di prenotazione e di accesso alle prestazioni sanitarie e la correttezza dei rapporti con l’utenza.

01 luglio 2014 – quotidianosanità.it

 

 

 

 

 

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Redazione Fedaisf

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