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Certificati malattia in Ps, «il medico che li nega è perseguibile e licenziabile»

I medici ospedalieri, tanto dei reparti quanto di pronto soccorso, sono tenuti a redigere il certificato di malattia e se non lo fanno rischiano l’imputazione per omissione d’atti d’ufficio, l’illecito disciplinare ai sensi della circolare Brunetta (ministero Pa) 1/2011 e il conseguente licenziamento previsto persino dalla legge». Non ha dubbi Luca Puccetti presidente dell’Associazione Promed Galileo e artefice a Pisa di una battaglia importante, diritto alla mano, per imporre l’invio dei moduli all’Inps a chi non adempie.

Il caso monta anche nella sua Toscana, «i colleghi di molti ospedali negano un importante diritto al lavoratore e non sanno che il loro “no” può avere conseguenze legali. Ad esempio, per i dipendenti pubblici in base alla legge 133/2008, la penalizzazione sulla giornata di stipendio sussiste per chi si assenta dal lavoro e produce un certificato del medico di famiglia ma non per chi produce un certificato di malattia del pronto soccorso (e non altro documento, ad esempio ricetta bianca) attestando che una patologia lo ha tenuto in ospedale nell’orario di lavoro».

Dunque il medico ospedaliero è tenuto a certificare, anche su ricetta Ssn se il software non funziona, «pena nei casi più gravi la denuncia per omissione di atti d’ufficio. Fermo restando l’obbligo deontologico e la punibilità disciplinare. Il licenziamento è previsto dalla legge Brunetta 165/2001 all’articolo 55 septies comma 4, che è “inderogabile da accordi collettivi”. Sicché lo contemplano la circolare Inps 2/2010 e  il contratto nazionale degli ospedalieri. Non capisco proprio le polemiche in Lombardia -dice Puccetti- poiché nelle circolari l’Inps raccomanda di redigere il certificato di ps almeno su carta. Né capisco chi, pur distinguendo correttamente tra certificazione di malattia e di guarigione, dimentica che la legge Brunetta ha cambiato il diritto e ha spostato il baricentro della certificazione di malattia dal medico che oltre a quelle sulla patologia ha tutte le informazioni anamnestiche del paziente (il “curante” che può essere anche uno specialista pubblico o privato) al medico che materialmente accerta la patologia direttamente, che può ben essere quello di pronto soccorso. Ai sensi di legge spetta a quest’ultimo la certificazione».

E’ possibile che non si certifichi perché la circolare Inps 2/2010, pur ventilando la licenziabilità del medico, aggiunge che “la piena applicazione dell’apparato sanzionatorio richiede la definizione di presupposti d’azione chiari e quadro di operatività certo”? «La stessa circolare fa partire da febbraio 2011 la possibilità di contestare il mancato rilascio del certificato al medico e al limite all’ospedale che non lo mette in condizione di ben operare, mettendogli a disposizione il software o alla peggio la carta intestata del reparto su cui vanno inseriti i dati del lavoratore dimesso e la prognosi lavorativa e non quella clinica, ai sensi del comma 6 dell’art 55 septies della Brunetta.

Da quel giorno il combinato disposto degli articoli in materia gioca contro il medico ospedaliero. Se non se ne rende conto, dico una cattiveria, è perché spesso a dimettere il paziente non c’è un medico ma un infermiere caposala che non è titolato a scrivere il certificato di malattia. Se, a furia di non difendere i propri diritti di medici, si finisce nei guai, non c’è poi da recriminare con il medico di famiglia che ti rinvia il paziente non per negargli dei diritti ma per restituirglieli».

Mauro Miserendino – Giovedì, 11 Giugno 2015 – Doctor33

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