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Cassazione. Danno da straining, l’azienda deve risarcire l’Informatore scientifico. È errato ritenere che l’informatore scientifico sia sottoposto alla direzione marketing e a ragioni commerciali

È errato ritenere conforme alla professionalità del ricorrente l'essere sottoposto alla direzione marketing e a ragioni commerciali

Con lordinanza n. 33428 dell’11 novembre 2022 la Corte di Cassazione interviene in tema di stress del lavoratore, addossandone il risarcimento in capo all’azienda.

edotto – 14 novembre 2022

Vediamo i termini della questione.

IL CASO

l caso prende le mosse da un ricorso proposto da un informatore scientifico contro una sentenza della Corte di appello di Genova che, riformando quanto disposto dal tribunale di La Spezia, aveva negato allo stesso il risarcimento danni per grave demansionamento (in particolare, il ricorrente aveva contestato lo svolgimento di promozione commerciale dei prodotti, accanto a quella di informazione scientifica) e mobbing.

La sentenza del tribunale

Il tribunale spezzino, infatti, accertato il grave demansionamento e il comportamento mobbizzante di cui era stato oggetto il lavoratore, aveva condannato l’azienda al risarcimento del danno biologico temporaneo e permanente, del danno alla dignità e all’immagine personale e professionale, nonché delle spese mediche sostenute in ragione degli eventi addotti.

La sentenza della Corte di appello

In riforma di quanto disposto dal giudice di primo grado, la Corte di appello ha rilevato che:

  • la contestazione delle mansioni, con riferimento anche a quanto stabilito dalla contrattazione collettiva, era avvenuta da parte del lavoratore dopo circa trenta anni di attività presso l’azienda, senza che l’interessato avesse mai mostrato nulla da eccepire;
  • tutti gli informatori scientifici in forza svolgevano attività di promozione commerciale,accanto a quella di divulgazione;
  • l’atteggiamento della nuova capo area, dichiarato mobbizzante dal lavoratore, non era tale da ledere la sua dignità personale, inserendosi in un normale contesto lavorativo percepito come vessante e denigrante dal soggetto per propria percezione personale distorta.

La decisione della Cassazione

Avverso la sentenza della Corte di appello, il ricorrente propone ricorso basato su due motivi:

  • violazione e falsa applicazione dell’art. 2087 cod. civ. in relazione all’art. 2103 del medesimo codice e all’art. 122 del D.Lgs. n. 219/2006, per non avere la Corte valutato il divieto di comparaggio;
  • errata valutazione nel ritenere aderente alla professionalità del ricorrente il suo essere sottoposto alla direzione marketing.

In accoglimento delle ragioni del lavoratore, con l’Ordinanza in esame la Corte di cassazione dichiara fondati i motivi del ricorso per la mancata adozione, da parte dell’azienda, delle misure a tutela della salute psichica del lavoratore di cui all’art. 2087 cod.civ. in rapporto al diritto dello stesso a svolgere le mansioni corrispondenti all’inquadramento, sancito dall’art. 2103 dello stesso codice.

Lo stesso Inail, continua la suprema Corte, ha individuato con propria circolare tale fattispecie come malattie professionali non tabellate sotto la dizione “malattie psicosomatiche da disfunzione dell’organizzazione del lavoro”, con tutte le successive articolazioni che il mobbing può assumere e che sono state oggetto di analisi da parte della giurisprudenza e della normativa europea.

Lo straining, quindi, si configura alla luce di tutto ciò ogni volta che siano posti in essere comportamenti stressogeni nei confronti di un dipendente, anche se singoli o limitati nel numero,e l’azienda è comunque responsabile, anche solo per colpa, e tenuta al risarcimento per inadempimento dei propri doveri di tutela della salute psico fisica dei lavoratori.

Alla luce di questa valutazioni, quindi, la Cassazione cassa e rinvia in riesame nel merito la domanda risarcitoria del lavoratore.

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Sentenza della Sez. Lavoro della Corte si Cassazione del 15 settembre 2014, n. 19394 in cui dichiara che “anche se qualificato nero su bianco come contratto di agenzia, va invece ricondotto ai canoni del lavoro subordinato il rapporto di colui che – pur con un limitato margine di autonomia – svolga prevalentemente l’attività di informatore medico-scientifico piuttosto che quella di agente di commercio”.

Sez. Lavoro della Corte di Cassazione in una recente ordinanza n. 10158 del 16 aprile 2021

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Nota:

Il contratto di agenzia stipulato con un ISF è un contratto simulato e non ha effetto tra le parti. Ha effetto invece il contratto dissimulato, cioè il contratto che l’azienda farmaceutica ha occultato (spesso e volentieri proprio per eludere le tutele del lavoro subordinato), che è certamente un contratto di lavoro.

Le aziende farmaceutiche che abusano del contratto di agenzia (alcune addirittura utilizzano da decenni e decenni esclusivamente ISF pseudo-agenti diretti da AM dipendenti, oppure utilizzano in parte ISF dipendenti ed in parte ISF pseudo-agenti che fanno le stesse cose, o addirittura costituiscono linee di soli ISF pseudo-agenti sfruttati ed esposti a costante minaccia di licenziamento), e che spesso impongono agli ISF la periodica sottoscrizione di massa di conciliazioni “tombali” quale condizione per continuare a lavorare (conciliazioni che, però, tombali non sono mai, non potendo il lavoratore rinunciare ai diritti futuri derivanti dalla natura del rapporto di lavoro ormai consolidatasi), dovranno fare i conti con una sentenza della Suprema Corte (Cassazione Civ. Ord. Sez. L N. 10158:2021) che ha posto un argine all’elusione sistematica delle tutele del lavoro subordinato con riferimento ad ISF considerati di serie B solo perché travestiti da agenti di commercio. (Avv. Antonio Pileggi)


Il commento dell’Avv. difensore, Emanuela Messina

Un fantasma si aggira per l’Italia, e non da oggi. Si aggira tra farmacie ed ospedali, vestendo giubbe di ogni forma e colore, con pochi diritti e molteplici oneri e doveri. E’ l’informatore scientifico farmaceutico, operatore che, a detta di Legge, dovrebbe svolgere, in maniera completamente autonoma, l’attività di informazione scientifica presso i medici e gli operatori sanitari, illustrando loro le caratteristiche farmacologiche dei farmaci, al fine di assicurarne il corretto impiego. Senonché, in base ad una prassi ormai divenuta tristemente endemica da parte delle case farmaceutiche, l’informatore sceintifico viene chiamato a fare tutt’altro, in particolare a  raccogliere ordini dai farmacisti ed informazioni sulle abitudini prescrittive dai medici, vincolato a raggiungere quantità ben determinate dei suddetti ordini, retribuito a provvigione sui medesimi, regolarmente accompagnato – o meglio, sorvegliato – da un capoarea appartenente al settore commerciale, spesso vessato, irriso, classificato e giudicato sulla base di indici formati esclusivamente sul venduto, ed infine frequentemente cacciato via, al costo di una mera raccomandata a.r., in quanto non più redditizio rispetto alle aspettative aziendali.

Da questo modello comportamentale derivano ovviamente molteplici lesioni dei diritti dell’informatore farmaceutico: lesione della propria autonomia in favore di una subordinazione di fatto (ma senza le garanzie previste a tutela dei lavoratori subordinati), lesioni alla propria dignità, alla personalità morale, all’immagine, alla salute fisica e psichica; comportamenti mobbizzanti: tutte circostanze estremamente difficili da provare in corso di eventuale futuro contenzioso in conseguenza della posizione sostanzialmente e giuridicamente ibrida dell’informatore medesimo.

Estremamente significativa, sotto questi profili, appare una sentenza della Corte di Cassazione appena pubblicata (33426/2022), che ha dovuto dirimere il conflitto tra due sentenze di merito oggettivamente opposte: mentre il Tribunale della Spezia, accertata la sussistenza di grave demansionamento e di comportamenti mobbizzanti in danno dell’informatore – difeso dall’Avv. Emanuela Messina del locale Foro -,  aveva condannato la casa farmaceutica al risarcimento del danno biologico temporaneo, del danno biologico permanente, del danno alla dignità ed all’immagine personali e professionale, nonchè al rimborso delle spese mediche sostenute, la Corte d’Appello genovese, in accoglimento dell’appello della datrice di lavoro, ha ritenuto che il Tribunale avesse assegnato rilevanza eccessiva alle attività di carattere commerciale svolte dal ricorrente (per quanto espressamente vietate dalla Legge all’informatore scientifico); ha ritenuto altresì che le problematiche emerse con il capo-area non fossero oggettivamente lesive della reputazione del ricorrente e che la situazione lavorativa, caratterizzata da “normali” dinamiche conflittuali, fosse stata vissuta dal ricorrente con la mera soggettiva percezione di essere vessato e denigrato dai propri superiori, senza oggettivo riscontro, respingendone così tutte le domande, nessuna esclusa.

Risulta evidente come un’impostazione così rigida, quasi dottrinale, non abbia consentito ai giudici del gravame di fare piena luce sul caso concreto in esame. E’ già lecito nutrire forti dubbi sul ritenere quasi irrilevante il fatto che venga imposto di svolgere attività commerciale ad una figura che, per espressa disposizione di legge, ne risulta assolutamente incompatibile, dovendo unicamente svolgere informazione scientifica; nonché sul definire “normale” – e quindi non nocivo – un rapporto perennemente conflittuale con il proprio superiore; ma ciò che soprattutto appare censurabile è il carattere di lotteria virtuale della fattispecie così come interpretata dalla Corte: qualora emerga il comportamento persecutorio datoriale, il ricorrente vince tutto; qualora residuino dubbi in tal  senso, il ricorrente vede rigettata ogni domanda: il Collegio si preclude così la valutazione di ogni sfumatura intermedia tra due statuizioni radicali: assurdamente, o tutto o niente!

Interviene fortunatamente la Suprema Corte a ricordare che tra due posizioni opposte si colloca sempre un’area grigia da analizzare attentamente. In particolare, secondo la Cassazione, il dettato dell’art. 2087 c.c. consente di ricomprendere nella tutela risarcitoria di tutti i rischi correlati allo stress lavorativo, anche in assenza dei più stringenti presupposti del mobbing o del demansionamento. E’ già nota ai giuristi la distinta fattispecie denominata straining, caratterizzata da comportamenti stressogeni nei confronti di un dipendente, anche omissivi (consistenti cioè anche solo nel tollerare un ambiente lavorativo fonte di stress) e fonte di responsabilità risarcitoria responsabilità del datore di lavoro che indebitamente tolleri l’esistenza di una condizione di lavoro lesiva della salute, sempre secondo il paradigma di cui all’art. 2087 c.c. Ma la fondamentale novità della citata sentenza consiste in un ulteriore passo avanti da parte della Suprema Corte, nel precisare le nozioni di mobbing e straining hanno natura meramente medico-legale e non rivestono autonoma rilevanza ai fini giuridici, ma servono soltanto per identificare qualunque comportamento che si ponga in contrasto con l’art. 2087 c.c. e con la normativa in materia di tutela della salute negli ambienti di lavoro; pertanto è comunque configurabile la responsabilità datoriale a fronte di qualunque mero inadempimento – imputabile anche solo per colpa – che si ponga in nesso causale con un danno alla salute, e ciò secondo le regole generali sugli obblighi risarcitori conseguenti a responsabilità contrattuale.

Secondo il principio di diritto emesso dalla Cassazione, pertanto, “rientra nell’obbligo datoriale di protezione di cui all’art. 2087 c.c., in interazione con il diritto del lavoratore alle mansioni corrispondenti al proprio inquadramento contrattuale, la tutela contro ogni costrittività organizzativa”: vi rientrano sostanzialmente tutte le disposizioni imposte dalle case farmaceutiche a danno dei propri informatori scientifici, qualora contrastino con disposizioni di legge o con l’inquadramento contrattuale sottoscritto dalle parti, con conseguente diritto al risarcimento di ogni danno subito. Ed un altro passo avanti, verso la tutela dell’informatore scientifico è stato, per quanto faticosamente, compiuto.

 

Notizie correlate: Sulla natura subordinata dell’attività svolta dall’informatore medico scientifico

 

Redazione Fedaisf

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