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Dompè. Causa pandemia 11 ISF agenti a P.IVA a casa

L'azienda propone di chiudere il contratto su base transattiva

Ci viene segnalato che a 11 ISF agenti monomandatari a Partita IVA della Dompè è stato chiuso il mandato d’agenzia, tradotto: sono stati licenziati

La Dompè sostiene che sono sorti rilevanti problemi operativi a seguito dell’emergenza pandemica che ha pesantemente inciso sulle vendite dei prodotti della linea Primary Care, problemi che hanno imposto all’Azienda di riorganizzare e ristrutturare la rete. Nell’ambito di tale processo si è deciso di chiudere il contratto ad alcuni ISF che lega l’Agente all’Azienda.

L’azienda nell’intento di dirimere sul nascere le liti che potrebbero insorgere, propone di ricercare un accordo generale per definire interamente, in uno “spirito di reciproca stima ed apprezzamento”, qualsivoglia controversia pendente o anche potenziale, con riferimento alla natura, all’esecuzione ed alla cessazione del rapporto di agenzia. Pare che 7/8 abbiano accettato la proposta, gli altri no.

Al di là della vicenda Dompè è bene precisare cosa caratterizza il lavoro autonomo dell’agente a Partita IVA dal lavoro subordinato.

Il lavoratore autonomo si impegna, nei confronti del committente, ad eseguire un’opera o prestare un servizio entro una data di consegna stabilita nel contratto, previo pagamento di un corrispettivo.

Fatti salvi alcuni momenti di coordinamento tra committente e lavoratore autonomo, quest’ultimo è tendenzialmente libero di organizzare il proprio lavoro, salvo il rispetto delle caratteristiche del servizio o dell’opera che si è impegnato a realizzare e della data di consegna.

Il lavoratore autonomo decide, dunque, in autonomia:

  • dove lavorare;
  • per quante ore al giorno lavorare;
  • con quali strumenti lavorare.

A causa del costo da sostenere per assumere un lavoratore subordinato, il datore di lavoro è fortemente vincolato nella gestione dei lavoratori dipendenti i quali godono di ampi diritti e tutele. Per evitare questi vincoli vengono assunti lavoratori a Partita IVA, falsamente autonomi ma che svolgono le mansioni dei lavoratori subordinati.

Le false partita Iva, così si chiamano, sono quindi quei lavoratori che pur essendo formalmente impiegati come lavoratori autonomi sono, in realtà, dei veri e propri lavoratori subordinati in quanto, nel reale svolgimento del rapporto, prestano la loro attività di lavoro con modalità tipiche del lavoro dipendente.

Ci sono una serie di elementi che caratterizzano le modalità di svolgimento del rapporto di lavoro dai quali si può desumere che si tratta di una falsa partita Iva.

Tra questi elementi possiamo indicare, tra gli altri, il fatto che il lavoratore autonomo assunto con partita Iva:

  • è soggetto alle direttive del datore di lavoro nell’esecuzione della prestazione di lavoro;
  • deve rispettare un orario di lavoro fisso;
  • deve recarsi, per svolgere la prestazione di lavoro, nel luogo indicato dal datore di lavoro;
  • utilizza, per rendere la prestazione, gli strumenti messi a disposizione dal datore di lavoro;
  • deve comunicare preventivamente eventuali assenze;
  • svolge un’attività del tutto analoga ad altri colleghi assunti come dipendenti;
  • è stabilmente inserito nell’organizzazione aziendale del datore di lavoro.
  • è costretto ad affiancamenti di verifica da parte di un Capo Area
  • è obbligato a rapportare la propria attività lavorativa

Può capitare, e capita, che con un semplice escamotage si dia al rapporto di lavoro un nome diverso per farlo rientrare formalmente nell’ambito del lavoro autonomo negando quindi al lavoratore tutte le tutele che la legge riconosce ai lavoratori subordinati.

Su iniziativa del lavoratore oppure tramite un accertamento condotto dagli organi ispettivi di Inps, Inail o Ispettorato del lavoro, il lavoratore autonomo può essere riqualificato in un rapporto di lavoro subordinato sin dalla data del suo inizio. In caso di interruzione del rapporto la falsa partita IVA potrà rivolgersi ad un legale per ottenere la riqualificazione.

Inoltre l’articolo n.69-bis del D.Lgs n.276/2003 permette di identificare le false Partite IVA quando,  salvo prova contraria da parte del committente, le prestazioni effettuate da lavoratori in possesso di Partita IVA sono riqualificate come rapporti di lavoro dipendente qualora ricorrano almeno due condizioni tra le seguenti:

  • la collaborazione duri per più di 8 mesi per due anni consecutivi (precisamente, 241 giorni anche non consecutivi);
  • il corrispettivo derivante da questa attività costituisca più dell’80% dei corrispettivi annui percepiti dal professionista (anche se fatturato a più soggetti riconducibili al medesimo centro d’imputazione di interessi);
  • il collaboratore disponga di una postazione fissa di lavoro presso una delle sedi del committente.

Dalla riqualificazione del rapporto deriva il diritto del lavoratore a percepire le cosiddette differenze retributive (ove esistenti), ossia, la differenza tra il trattamento economico che sarebbe spettato al lavoratore se fosse stato assunto sin dall’inizio come dipendente e il trattamento economico ricevuto in qualità di partita Iva.

Inoltre, l’Inps e l’Inail possono chiedere al datore di lavoro di versare tutti i contributi previdenziali ed assistenziali che avrebbe dovuto versare se il lavoratore fosse stato assunto sin dall’inizio come dipendente.

Infine, il rapporto di lavoro diventa un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato, con tutte le conseguenze del caso in termini di modifica delle mansioni, trasferimento, licenziamento, tutele del lavoratore in caso di malattia, infortunio, gravidanza, handicap, etc., e in caso di licenziamento a percepire il trattamento di fine rapporto (TFR).

Ritornando al caso Dompè se gli ISF “licenziati” possono dimostrare che erano false partite IVA hanno buone prospettive di successo.

Riportiamo alcune sentenze, fra le tante che ci sono, sulla qualificazione del rapporto di lavoro dell’ISF

  • Il nomen juris che le parti attribuiscono al rapporto di lavoro non è determinante per la sua qualificazione giuridica. La volontà dei contraenti costituisce un punto di riferimento nella valutazione del giudice, dal quale egli si può discostare a fronte di plurimi e univoci indici che facciano emergere una realtà diversa da quella descritta nel contratto. (Corte appello Milano sez. lav., 15/03/2017, n.1281)
  • L’attività di informazione scientifica del farmaco ben può essere svolta tanto da agenti quanto da lavoratori dipendenti della società farmaceutica, in quanto ciò che rileva, al fine di qualificare un rapporto come di lavoro dipendente, è la prova dell’effettivo assoggettamento dell’informatore scientifico al potere direttivo e di controllo da parte della società, mentre il solo fatto che l’agente debba conformare la propria attività, tra l’altro, alle prescrizioni del codice del farmaco, di per sé non è dirimente per far ritenere che il contratto di agenzia non sia legittimo. (Tribunale Milano sez. lav., 30/12/2015).
  • L’attività di informatore medico-scientifico, che può svolgersi sia nell’ambito del rapporto di lavoro autonomo che in quello del rapporto di lavoro subordinato, consiste nel persuadere la potenziale clientela dell’opportunità dell’acquisto, informandola del prodotto e delle sue caratteristiche, ma senza promuovere (se non in via del tutto marginale) la conclusione di contratti. Dall’anzidetta attività differisce quella dell’agente, il quale, nell’ambito di un’obbligazione non di mezzi ma di risultato, deve altresì pervenire alla promozione della conclusione dei contratti, essendo a questi direttamente connesso e commisurato il proprio compenso. ( Cassazione civile sez. lav., 16/04/2021, n.10158 ).
  • La sentenza precedentemente riportata della Corte di Cassazione è in linea con la Sentenza della Sez. Lavoro della stessa Corte del 15 settembre 2014, n. 19394 in cui dichiarava che “anche se qualificato nero su bianco come contratto di agenzia, va invece ricondotto ai canoni del lavoro subordinato il rapporto di colui che – pur con un limitato margine di autonomia – svolga prevalentemente l’attività di informatore medico-scientifico piuttosto che quella di agente di commercio”.
  • Infine, per meglio comprendere la “ratio” di queste sentenze occorre riprendere la dichiarazione della Cassazione che dice: “Il consumo dei farmaci non è regolato dal criterio del piacere, ma da quello dell’utilità, mediata dalla classe medica, sicché i medici sono destinatari di una specifica forma di pubblicità che mira non già a reclamizzare astrattamente il prodotto decantandone le virtù o la piacevolezza visiva della confezione, ma ad informarli della natura e delle utilità farmaceutiche del prodotto, in quali ipotesi risulti indicato, in quali no ed in quali sia addirittura nocivo(v. Cass. n. 25053 del 2006; v. anche Cass. n. 8844 del 2014; Cass. n. 2349 del 2013; Cass. n. 5494 del 2013)

Il fatto che rimane è che 11 ISF Dompè,  alla vigilia delle feste natalizie, si trovano senza lavoro dalla sera alla mattina. Oltre alla nostra vicinanza e solidarietà, il nostro augurio è che possano risolvere questa vicenda nel migliore dei modi (per loro). Inutile augurare loro il Buon Natale, perché per loro non sarà un Buon Natale.

 

Nota. Dompé Farmaceutici (Df) ha chiuso l’anno 2019 con utile di oltre 124 milioni rispetto alla perdita di 5,8 milioni dell’esercizio precedente. L’esplosione del profitto è dovuta in primo luogo al significativo incremento del fatturato passato anno su anno da 278,1 a 443,6 milioni, di cui 226 milioni realizzato in Italia, 191 milioni negli Stati Uniti e 21,7 milioni in altre aree geografiche. Nel 2020 il fatturato è cresciuto a 532 milioni

 

Notizie correlate: False partite Iva: quali le eccezioni?

 

Ultimo aggiornamento 10/12/2021

Redazione Fedaisf

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