I casi di Giappone, India e Australia: perché anche mercati grandi e sviluppati, luogo ideale per l.ampia adozione di alternative equivalenti ai prodotti branded, non presentano performance in linea con le loro potenzialità. Dal numero di ottobre di AboutPharma and Medical Devices
The mercato dei farmaci generici, in tutto il mondo, rappresenta sempre di più un settore in crescita. Spesso oggetto, quest’ultimo, di politiche sanitarie nazionali o sovranazionali finalizzate a ridurre la spesa farmaceutica, in una società globale che invecchia velocemente, e a facilitare l’accesso a cure adeguate per le fasce più deboli della popolazione.
UNA RAPIDA PROGRESSIONE
Secondo QuintilesIms, nell’arco di tempo fra il 2013 e il 2018 i generici costituiranno il 52% della crescita globale della spesa farmaceutica. Si passerà dai 267 miliardi di dollari del 2013 ai 442 del 2018, con una crescita annua del 10,6%. Oltre alle politiche di incentivo alla sostituzione, un forte impulso alle vendite di farmaci generici dipende dal fatto che molti brand importanti hanno già perso o perderanno la protezione brevettuale nei prossimi anni, aprendo la strada ai genericisti. Evaluate pharma stima che fra il 2011 e il 2020 perderanno la protezione brevettuale farmaci il cui fatturato si aggira sui 200 miliardi di dollari. Il comparto del farmaco generico rappresenta una grande opportunità, ma la situazione di mercato è lungi dall’essere omogenea. Spesso inaspettatamente, anche mercati grandi e sviluppati, che potrebbero essere candidati ideali per l’ampia adozione di alternative generiche ai prodotti originali, non presentano performance in linea con le loro potenzialità. Alla base motivi culturali, distributivi, o legislativi. Ecco alcuni esempi concreti in giro per il mondo.
SOL LEVANTE MERCATO CRESCENTE
Il mercato farmaceutico giapponese, secondo dopo gli Stati Uniti, è responsabile del 10% del consumo totale di farmaci al mondo. Si prevede che cresca moderatamente, dai 70 miliardi di dollari del 2016 a 72 miliardi di dollari nel 2021. Il Giappone dispone di un sistema sanitario che offre un buon accesso alle terapie da parte dei pazienti e prezzi di rimborso remunerativi per le aziende. Tuttavia, la popolazione invecchia e la spesa per i farmaci rappresenta il 20% della spesa sanitaria totale del nazionale. Una percentuale elevata, se confrontata con molti paesi dell’Europa occidentale (sotto al 15% Germania e Austria, 16% la Francia e 17% l’Italia) e degli Stati Uniti (10-11%). Già da alcuni anni il governo giapponese ha identificato nella penetrazione generica un imperativo per la stabilità economica nazionale nel lungo termine. Promuovere l’uso dei generici è una priorità per il governo. Il settore farmaceutico giapponese è caratterizzato dalla presenza di grandi gruppi industriali in grado di produrre per il mercato nazionale. Ma anche di rappresentare realtà competitive in Europa, negli Stati Uniti e nello stesso continente asiatico.
Non manca la capacità e il know how per la produzione locale e la resistenza al generico in Giappone non dipende da limiti tecnologici, ma ha una origine soprattutto culturale, visto che tanto i medici quanto i pazienti hanno in generale una percezione di qualità inferiore del generico rispetto al prodotto a brand. A questo problema si affiancano barriere all’ingresso di natura distributiva, dovute alla stretta relazione fra i maggiori grossisti e le aziende di prodotti originali. Esistono anche lacune legislative. Prima tra tutte la mancanza di chiare regole che guidino la sostituzione di prodotti originali con gli equivalenti generici all’atto della spedizione della prescrizione in farmacia. Il governo ha però recentemente modificato alcuni dei fattori limitanti lo sviluppo del mercato generico. A livello ospedaliero esiste un sistema di procedure diagnostiche codificate (Dpc) e, a partire dal 2014, è stato introdotto un coefficiente di valutazione elevato per gli ospedali che prescrivano farmaci generici. Grazie a esso ci si attende che gli ospedali giochino un ruolo attivo nell’espansione del generico. Per contro, le farmacie non sono finora state particolarmente attive nella dispensazione di generici, ma la pressione sui prezzi imposta dal governo non dovrebbe tardare a farsi sentire anche a livello del retail. Al momento, l’obiettivo di penetrazione generica nel mercato delle prescrizioni, che il governo ha stabilito per il 2017 è attorno al 60%. Risultato ambizioso, se si tiene conto che il comparto generico nel 2010 rappresentava solo l’8% del mercato giapponese soggetto a prescrizione e che la crescita è stata molto lenta, al punto che nel 2015 il mercato generico ha raggiunto un valore di 790 miliardi di yen (7,1 miliardi di dollari).
Circa il 12% del mercato totale a prescrizione. Tuttavia il governo giapponese persegue obiettivi ambiziosi di crescita nel consumo di farmaci equivalenti, e si attende che raggiunga i 1.117 miliardi di yen (10 miliardi di dollari) nel 2018. Se così fosse potrebbe rappresentare l’80% del totale mercato a prescrizione nel 2020, previsione a cui gli analisti di mercato sembrano dare un certo credito. L’adozione di una quota crescente di generici porterà cambiamenti significativi nel mercato farmaceutico locale a livello complessivo. Le aziende giapponesi dovranno ristrutturarsi e migliorare la propria competitività, per far fronte alla fornitura non più solo di prodotti originali a prezzi molto elevati, ma anche di prodotti generici a prezzi più contenuti, situazione con cui non si sono mai misurate, mentre le grandi multinazionali del mercato generico, presenti in Giappone con le proprie filiali, sono già abituate ad avere efficienza su larga scala per mantenere redditività pur producendo generici.
Una survey condotta da CpHI rivela che il 60% degli executive di aziende farmaceutiche domestiche, intervistati sull’argomento, dichiara che le aziende locali saranno sufficienti a soddisfare la domanda di generici del Paese, anche se il 26% ammette che anche produttori stranieri potrebbero trarre vantaggio dal mercato generico locale, specialmente le aziende indiane.
INDIA QUALITÀ DA MIGLIORARE
L’India è il terzo mercato farmaceutico mondiale in termini di unità e l’undicesimo a valori. Il Paese asiatico rappresenta il principale esportatore di farmaci generici al mondo, pari al 20% del volume globale dell’export farmaceutico globale, che rappresenta un valore pari a 16,4 miliardi di dollari nel periodo 2016-2017 ed è stato proiettato a 20 miliardi entro il 2020. La ragione di un successo così schiacciante è da attribuire principalmente ai bassi costi di produzione. Produrre un farmaco in India costa infatti il 35-40% di quanto si spenderebbe in Usa per produrre e questa differenza dipende principalmente dal minore costo della manodopera e delle strutture. Non a caso l’India rappresenta il quarto esportatore di farmaci negli Stati Uniti, fornendo all’America il 30% del totale volume di farmaci generici d’importazione. Ci si potrebbe dunque attendere che il mercato domestico indiano sia caratterizzato da una ricca offerta di generici con grandi volumi di vendita in quasi tutte le categorie terapeutiche. Ma in realtà non è così. Un noto opinion leader indiano, Ashok Panagariya, docente emerito e precedente vice cancelliere della Rajasthan Medical University ha recentemente sostenuto che “nessun medico sarebbe contrario a generici a basso costo, a patto che si tratti di farmaci di qualità. Ci sono elementi per ritenere che non più dell’1% dei generici venduti in India venga sottoposto ai controlli di qualità che si applicano per le produzioni in Usa o Europa. Assicurare la disponibilità di farmaci generici di qualità uniforme faciliterebbe i medici nel prescriverli con sicurezza”. La scarsa qualità dei generici prodotti per il mercato locale, induce i medici e spesso gli stessi pazienti, a diffidare di tali medicinali e a non considerarli una valida alternativa ai più costosi farmaci originali. Questo limita in modo sostanziale l’accesso di una grande fetta della popolazione a cure mediche adeguate.
Per superare il problema, il governo indiano ha recentemente stabilito di varare misure più concrete per facilitare l’adozione di generici di qualità adeguata nella pratica clinica. Il primo ministro Narendra Modi, in una lunga intervista a Indian Express, ha spiegato in maggiori dettagli difficoltà e soluzioni per la questione aperta dei generici. Gli ostacoli da superare sono molteplici. In primis, Modi riconosce che i controlli di qualità sono scarsi e inadeguati, attribuendo la difficoltà alle limitate risorse dedicate a ispezionare le aziende per conto del ministero indiano. Il numero degli ispettori, appena 1.500, è del tutto insufficiente a garantire screening sistematici e rigorosi sulla qualità dei moltissimi stabilimenti produttivi disseminati in tutto il Paese. Unitamente a ciò, è indispensabile che i medici prescrivano farmaci utilizzando il nome della molecola invece del brand, per facilitare l’utilizzo dei generici, favorendone l’accettazione da parte del paziente, e facilitando la dispensazione di generici al punto vendita. Questa disposizione era già stata introdotta a settembre 2016 nella clausola 1.5 delle Indian medical council regulations, il testo legislativo che regolamenta l’esercizio della professione medica in India, ma e stata sistematicamente disattesa. In un discorso pubblico ad aprile 2017, il primo ministro è tornato a ribadire la necessita che i medici prescrivano prodotti con il nome della molecola anziché il brand, promettendo un giro di vite nei prossimi mesi. Tuttavia le difficoltà per l’adozione dei generici non si fermano alla prescrizione. La dispensazione dei farmaci in India non è regolamentata in modo cosi rigoroso da garantire che sia un farmacista laureato e competente a eseguirla.
Spesso il farmacista dà in gestione la farmacia a personale non qualificato, ricevendo in cambio una commissione sulle vendite e non esistono disposizione legislative che impongano un training o una qualche forma di qualifica a chi lavora in farmacia, privando cosi i pazienti dell’assistenza e del consiglio necessario per accedere a opzioni terapeutiche più economiche, come i generici. Un altro elemento che limita l’accesso a cure economicamente vantaggiose è il sistema di fissazione del prezzo, che è libero, ad eccezione di una lista di farmaci essenziali, per i quali il governo si riserva il diritto di stabilire un prezzo uniforme e accessibile per tutti i farmaci, generici e non, che contengano lo stesso principio attivo. Se un generico non appartiene a questa categoria, sia il fabbricante che la farmacia possono applicare il prezzo che ritengono adeguato, e, particolarmente al livello delle farmacie, il mark up applicato liberamente in ciascun punto vendita può livellare il prezzo del generico a quello dell’originator, neutralizzando il vantaggio economico per il paziente.
AUSTRALIA: UN PAESE PER GENERICI?
Il mercato farmaceutico australiano vale 22,8 miliardi di dollari (2016) ed è destinato a raggiungere quota 25,2 miliardi nel 2020, registrando un tasso di crescita del 2% annuo, secondo GlobalData. La spesa sanitaria in Australia è cresciuta a ritmo maggiore dell’economia del Paese, passando, negli ultimi 25 anni, dal 15,7% del gettito fiscale al 24,1%. La spesa farmaceutica ha raggiunto il valore di 10,8 miliardi di dollari australiani (7,4 miliardi di euro) nel periodo 2015-16. Sebbene l’Australia sia un Paese economicamente florido, il trend di crescita della spesa sanitaria e farmaceutica comincia a preoccupare il governo. Un elemento sul quale si è concentrata l’attenzione del governo nell’ultimo anno, è proprio legato all’utilizzo dei generici. Dati ufficiali riportano che in Australia, nel 2010, solo il 19,5% delle prescrizioni fatte dai medici di famiglia conteneva il nome della molecola invece di un brand, una percentuale modesta di per sé e ancora più limitata se confrontata: a) con il Regno Unito, in cui i medici prescrivono il prodotto menzionando unicamente in principio attivo nell’83% dei casi; b) con gli Usa, in cui i generici sono l’84% delle prescrizioni; c) con la vicina Nuova Zelanda, in cui i medici prescrivono generici nel 77% dei casi; d) con il Canada in cui questa percentuale è del 70%.
Il governo australiano ha preso coscienza della situazione, e il tesoriere Scott Morrison ha annunciato ad aprile 2017 che il budget federale conterrà una serie di misure che incoraggino i medici a prescrivere generici anziché più costosi prodotti a brand. Con questa iniziativa, il governo si propone di contribuire significativamente all’obiettivo di ridurre la spesa farmaceutica nei prossimi cinque anni di 1,8 miliardi di dollari. In Australia, una più ampia adozione di farmaci generici nella pratica clinica avrebbe un effetto particolarmente significativo, poiché nel paese i prezzi dei farmaci sono irragionevolmente elevati. Uno studio recentemente pubblicato, condotto dal Grattan Institute, ha infatti confrontato i prezzi di 19 medicinali in Australia, rispetto agli stessi prodotti acquistati nel Regno Unito, in Canada, e in Nuova Zelanda, con risultati sorprendenti. Il prezzo australiano dei farmaci considerati è infatti in media il doppio rispetto al Regno Unito e il triplo rispetto alla Nuova Zelanda, con punte del 370% rispetto all’opzione equivalente più conveniente. Il governo australiano interverrà direttamente modificando il software che i medici utilizzano per le prescrizioni, in modo che l’opzione di default sia il nome generico del prodotto. I medici di famiglia avranno comunque la possibilità di prescrivere brand particolari, se ne fanno espressa richiesta, ma l’iter sarà più complicato. Sono proprio i medici australiani i più tiepidi nel sostenere la sostituzione dei prodotti originali con generici per contenere la spesa, e sono stati loro a protestare contro la decisione del governo, per bocca di Tony Bartone, vice presidente della Australian medical association: “Forzare il generico come scelta di default – ha detto Bartone – non è nell’interesse dei pazienti. Il nostro compito è di comprendere i pazienti e prendere la decisione che è nel loro migliore interesse, guidati da anni di esperienza clinica e competenza”. Il ministro della Salute australiano Greg Hunt, però, non accetta l’obiezione e precisa che la decisione del governo non lede l’autonomia dei medici: “Il nostro impegno è di dare ai pazienti le cure migliori, al prezzo più conveniente. I generici sono un modo per farlo, ma tutto rimane sotto il controllo del medico. Anche Tim Greenaway, chief medical adviser della Therapeutic goods administration (Tga), l’autorità sanitaria australiana, respinge con fermezza le accuse dei medici, ribadendo che: “Il ruolo di Tga è quello di garantire la sicurezza, qualità ed efficacia dei farmaci. E quando farmaci simili o “copia” entrano nel mercato australiano è perché abbiamo verificato che sono equivalenti al prodotto di riferimento, e che l’effcacia per il paziente sarà identica”. Insomma, il governo australiano non sembra propenso ad assecondare le obiezioni della classe medica, e si augura di portare l’uso dei generici all’80% attraverso l’implementazione di queste misure.